Cannonau e vini Dop minacciati dall’Ue: “Errore puntare sulla tutela dei vitigni”

Una politica enografica sbagliata, basata sulla tutela del vitigno e non del territorio di provenienza, che ora paga il prezzo della ‘liberalizzazione’ che potrebbe portare presto sugli scaffali di tutta Italia bottiglie di Cannonau di Pantelleria. Se da una parte Assoenologi, Confindustria, la Regione e i deputati gridano allo scandalo e alla guerra contro le nuove norme Ue che aprono alla coltivazione di vitigni come il Cannonau, ma anche Nuragus, Nasco, Girò, Semidano fuori dall’Isola, dall’altro c’è chi va a ricercare le cause del problema, che con l’Unione europea non c’entrano nulla.

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Ne è convinto Gigi Carreras, che il vino lo fa per passione e fa parte come ‘assaggiatore esperto’ dell’Onav, l’Organizzazione nazionale assaggiatori di vino, di cui è vice delegato provinciale. Preoccupato, da profondo osservatore delle evoluzioni dell’enologia sarda e amante della Sardegna del vino, per le conseguenze sulle produzioni sarde della nuova normativa europea.”L’errore di fondo è stato quello di essersi ostinati a identificare le cinque Denominazioni di origine protetta con il vitigno e non con il territorio – spiega – specialmente in un mondo come quello del vino in cui tutti parlano di  ‘valorizzazione’ del territorio, ‘terroir’, ‘tipicità della vigna’, e poi invece un Cannonau fatto a Mamoiada ha la stessa denominazione di uno fatto a Baunei”. È il territorio che conta, i terreni, le sostanze che ci sono dentro, la vicinanza o lontananza dal mare e ciò vale anche all’interno della stessa Isola, è il punto di vista di Carreras.

Adesso l’errore “rischia seriamente di ritorcersi contro chi ha sempre sostenuto questo tipo di politica enografica, che creerà conseguenze non solo sugli affari delle aziende vitivinicole ma anche sull’occupazione e sull’immagine della Sardegna. Eppure sarebbe stato facile – sostiene l’esperto – bastava prendere ad esempio le zone più note della Francia, come Chablis, in Borgogna. Per fregiarsi di questa ‘appellation’ un vino deve essere prodotto esclusivamente nei villages della zona dello Chablis e solo e soltanto con Chardonnay Blanc. O come il Beaujolais, che oltre ad essere obbligatoriamente prodotto nella zona del Beaujolais, appunto, deve essere fatto esclusivamente di Chardonnay per il bianco, e principalmente di Gamay (ed eventualmente altri vitigni a bacca rossa) per il vino rosso”.

Regole che poggiano su un principio diverso. “Un esempio più vicino? Il Chianti: conosciuto in tutto il mondo, zona in cui si producono vini eccellenti ma anche scadenti, ma che vendono moltissimo. A un americano non interessa che nell’etichetta del Chianti ci sia Sangiovese e altri vitigni, lui sa che sta bevendo un Chianti e questo è ciò che conta, perché per lui è buono e quando lo beve immagina di stare con amici sotto un pergolato nel cortile di un casale immerso nelle colline tra Greve e Panzano”, racconta Carreras.

L’esperto assaggiatore, lontano dalle polemiche, propone un diverso approccio: “Forse è davvero giunto il momento di ripensare integralmente al meccanismo delle Dop e di iniziare davvero a esaltare i territori e le zone a vocazione vitivinicola della Sardegna – e far nascere ad esempio un bel Mamoiada Docg – più che ai vitigni, per non dover in futuro ridere (e poi piangere) quando ci troveremo in qualche tavola una bottiglia di Nuragus di Terni“.

Marzia Piga

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