Banco di Sardegna, sempre meno prestiti a famiglie e imprese sarde

Il Banco di Sardegna svolge appieno il suo ruolo di istituto di credito sardo? Presta ancora i soldi (per usare termini più spicci) a famiglie e imprese? La risposta è: sempre meno. Basta analizzare l’ultimo bilancio per farsene un’idea compiuta. Il bilancio d’esercizio consolidato al 31 dicembre 2012 è composto da numeri che in questo senso valgono più delle parole.

E’ un tema complesso. Che però oggi è entrato pienamente nel dibattito pubblico in seguito alle polemiche sul passaggio dell’attuale presidente della Fondazione del Banco di Sardegna Antonello Arru alla guida dell’azienda bancaria (la formalizzazione avverrà il 19 di questo mese) e sulla sua sostituzione alla guida della Fondazione con l’ex senatore del Partito democratico Antonello Cabras. Il quale, come emerso nei giorni scorsi, nel frattempo è stato cooptato. Primo passo – salvo ripensamenti determinati dall’esigenza di abbassare il livello dello scontro –  per la successiva assunzione della presidenza.

Inopportunità delle nomina di ex politici a parte a parte, il tema affrontato in queste ultime settimane è quello del rapporto strutturale tra la Fondazione e l’azienda bancaria. E’ questo il punto centrale, lo snodo attraverso cui passa l’intero dibattito e anche la ‘condizione’ che rende possibili le nomine che hanno scatenato tante polemiche.

Attualmente il Banco di Sardegna è diviso tra la Banca popolare dell’Emilia Romagna (che ne detiene il 51 per cento) e la Fondazione del Banco di Sardegna (che ne detiene il 49 per cento). La domanda è: ha senso che una Fondazione immobilizzi quel 49 per cento – che equivale a 350 milioni di euro – per averne in cambio la possibilità di nominare 6 dei 15 membri del consiglio di amministrazione dell’istituto e per poter ritenere di incidere in qualche misura sulle scelte del Banco?

E’ il quesito che ha posto, articolandolo in una serie di domande specifiche,  l’economista Francesco Pigliaru nel suo blog: “Vale la pena di pagarlo quel costo? Ci sono benefici tali da giustificare quel sacrificio? Per i politici abbiamo detto: tenere un piede dentro il Banco gli dà la possibilità di svolgere  un ruolo importante nella gestione del credito. Nella gestione, sottolineo: qualcosa che va ben oltre il ruolo di indirizzo, di controllo, di regolamentazione che la politica esercita doverosamente in tutto il mondo in tema di credito. Ma ci sono benefici anche per il resto dei cittadini?”

Secondo Silvio Lai, neosenatore e segretario regionale del Pd – uno dei pochi esponenti democratici ad aver preso posizione sulla vicenda – i benefici ci sono. Se la Fondazione non avesse quel 49 per cento, il Banco di Sardegna non avrebbe verso l’Isola un’attenzione speciale e si rischierebbe un pesante ridimensionamento della rete degli sportelli, che oggi si trovano in ogni paese, anche nei centri più piccoli.
Dati alla mano, Pigliaru ha contestato questa tesi. I dati della Banca d’Italia dicono che i tassi di interesse per le imprese sarde  non si scostano granché da quelli di altre regioni del sud (sono più alti in Calabria e più bassi in Puglia, per esempio). E che, insomma, il prezzo che la Fondazione paga immobilizzando quei 350 milioni non è affatto compensato da un ‘trattamento di riguardo’ da parte del Banco di Sardegna verso le imprese e le famiglie sarde.
L’analisi che presentiamo, conferma che questi benefici non si vedono. Il Banco di Sardegna, in definitiva, si muove nell’Isola come un normale istituto bancario in questa fase di crisi. Diminuisce il credito a imprese e famiglie e  limita le perdite facendo utili con i titoli di Stato.
N.B.

 

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