Storia malinconica di Imi l’Ungherese. Nicola Lecca torna in libreria con ‘La piramide del caffè’

Il mondo delle gioie piccole piccole, lo stupore infantile, il viaggio e le città lontane: questi i temi più cari a Nicola Lecca, scrittore cagliaritano tornato da qualche giorno in libreria con il suo nuovo romanzo “La Piramide del Caffè”, presentato oggi a Cagliari, alle 18, al Feltrinelli Point di via Paoli. Il libro, pubblicato per Mondadori, prende spunto da un orfanotrofio visitato realmente nell’estate del 2005 come ricorda l’autore in una nota finale “In quel luogo che appariva povero e triste, ho trovato nascosta una straordinaria abbondanza di gioia”.

Da qui l’idea di raccontare la storia di Imi, giovane ungherese vissuto tra altri orfani che riesce a trovare un lavoro a Londra. La città, intricata, caotica, scintillante, sembra davvero un paradiso per chi non la conosce, ma il giovane Imi imparerà presto la delusione. “La Piramide del Caffè” è una storia malinconica, senza tempo, raccontata con estrema delicatezza dove i protagonisti sono persone che riescono a provare ancora stupore e gioia, gratitudine e disincanto.

Nei tuoi libri racconti di storie estremamente reali, quasi fossero state vissute in prima persona. Quanto c’è di autobiografico nelle tue opere?

Ho scritto in prima persona come una donna che ha abortito, ma non ho mai abortito. Ho scritto in prima persona come un anoressico: ma non lo sono mai stato. Ho raccontato mille storie che non sono me. Ma mai la mia. Credo che questo sia un valore aggiunto. Una prova che non uso i romanzi come serbatoio di narcisismo. Ma come un atto d’amore.

Il tuo primo romanzo è arrivato in finale al Premio Strega, le tue opere sono tradotte in tutto il mondo. Ci racconti come sei arrivato al mondo dell’editoria?

Da ragazzo ho mandato un breve racconto a tre persone che stimavo: Sergio Maldini, Giovanni Raboni e Mario Rigoni Stern. Tutti hanno risposto incoraggiandomi a continuare. L’anno dopo ho pubblicato “Concerti senza orchestra” che è stato subito finalista al Premio Strega. Insomma: anche fortuna. Ma non solo.

La tua vita è un viaggio continuo, ma cosa vedi quando torni in Sardegna?

Vedo ciò che ho sempre visto. Ma non lo subisco. perché non è più imposto, ma scelto. Vedo il sole e il mare in gennaio e mi ricordo degli inverni gelidi in Islanda, in Svezia, a Vienna e a Innsbruck e penso: Cagliari è una città prediletta da Dio.

Ti considerano uno scrittore che non rappresenta davvero la Sardegna. Cosa ne pensi?

In verità, mi sento tanto sardo quanto tutti gli altri scrittori della mia terra e sono convinto che nei miei libri ci sia molta più Sardegna di quanto, in genere, si pensi. Ho vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza a sette chilometri da un aeroporto. Appartengo a una generazione nuova: una generazione che, fin da giovane, ha potuto viaggiare con facilità e senza troppe complicazioni. Sono sempre stato curioso del mondo e, finora, ho abitato in molte città europee: le ho conosciute tutte per davvero, le ho sentite mie e, dentro di me, ho potuto confrontarle con la mia Sardegna. È stata un’esperienza formante: e penso che, se non avessi viaggiato e fossi rimasto sempre chiuso nello stesso posto, oggi sarei una persona peggiore. Fortuna che quando ero un ragazzino confuso e mi sentivo in colpa perché la mia ispirazione mi portava in Francia e non a Oristano, il mio maestro Mario Rigoni Stern mi ha rasserenato dicendomi: “Non pensare mai che nei tuoi libri la Sardegna non ci sia: perché, invece, ce n’è tanta. Ma è nascosta tra le righe…”.

Francesca Mulas

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