Prove di democrazia a teatro: la compagnia Batisfera convince con S.A.D.

Può la democrazia – o l’arte – vincere la tristezza? Il quesito rimane irrisolto, come le tante altre domande di cui si affliggono i protagonisti della pièce. Ma intanto, poiché, come diceva Winston Churchill, chi vive nella libertà ha un buon motivo per vivere, combattere e morire, c’è chi si interroga. È la compagnia Batisfera, con la sua nuova produzione S.A.D. Spettacolo Altamente Democratico (ma anche traduzione di triste, dall’inglese) andata in scena negli ultimi giorni di marzo al Teatro delle Saline di Cagliari con gran successo di pubblico. Tre serate di teatro pieno, per applaudire i 24 attori sul palcoscenico, equamente divisi tra professionisti (Nunzio Caponio, Rossella Faa, Eleonora Giua, Enrico Incani, Michela Laconi, Simeone Latini, Alessandra Leo, Emanuele Masillo, Felice Montervino, Vanessa Podda, Valentina Puddu) e allievi di un laboratorio ad hoc.

Felice l’idea di portare a collaborare alcune delle migliori professionalità della scena teatrale sarda, tra cui la compagnia Lucido Sottile che ha firmato le coreografie. Molte presenze forti, per una regia (di Valentina Fadda e Angelo Trofa, autori anche del testo) attenta anche quando sono in scena gli “esordienti”. Tutti sono bravi e credibili, emozionanti e divertenti. A partire dall’istrionico Nunzio Caponio, che irrompe nei momenti più drammatici ed inopportuni della vicenda, denunciando le stranezze e il disordine degli esseri umani e rimettendo, con fare da moderno giullare, il corso della trama nei cartellini, rossi o verdi, in mano agli spettatori. I quali partecipano, anche urlando la loro preferenza. E contestano il verdetto e chiedono un nuovo conteggio dei voti, quando non sono soddisfatti. Roba da democrazia rodata, insomma.

La sensazione è che non cambierebbe granché, se invece della spassosa spugnetta d’acqua dolce entrasse in scena il pesce rosso e verde, quale testimone oculare della tragedia occorsa dapprincipio. O se Rossella Faa interpretasse una canzona diversa da Tristeza. Ma in fondo, questo è irrilevante. Più significativo è che l’interazione abbia funzionato, che le parentesi “sperimentali” si siano amalgamate ai tempi dello spettacolo, gelando e scongelando i frame drammaturgici senza pregiudicarne l’esito scenico o la tenuta.
Interessante poi la scelta di esasperare gli opposti, di sfondare i generi: dall’assoluta drammaticità del preambolo, ovvero la morte di un bambino di tre anni che affoga nel lago, all’intrusione comica di macchiette grottesche e surreali, in un contesto di piena crisi familiar-borghese, capace di generare un pathos che, a partire dalle prime battute – e dai primi silenzi, quelli appunto dello sgomento materno per il vuoto incolmabile – coinvolge lo spettatore. Non sapremo mai se ci sono delle responsabilità, in quella morte prematura. I dubbi dilagano e il sospetto di diverse e molteplici verità resterà nell’aria, minaccioso come la presenza di un cinghiale tra i bellissimi uccelli della scenografia di Salvatore Aresu.

Giulia Clarkson

Immagine di Sabina Murru

 

 

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