Presentato il documentario ‘A bolu’: viaggio nel fascino del canto a tenore

È stato presentato a Cagliari, con una proiezione per la stampa, il documentario ‘A bolu’ di Davide Melis. Il film si propone come un originale percorso all’interno del canto a tenore sardo, dichiarato nel 2005 patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco. Il progetto, finanziato dalla Regione Sardegna attraverso il bando ‘Identity Lab’, si avvale del montaggio dello stesso Davide Melis, della fotografia di Luca Melis, mentre la direzione artistica e scientifica è stata affidata a Salvatore Pilosu.

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Non era sicuramente semplice raccontare il canto a tenore nella sua complessità culturale e sociale in un film dalla durata di 100 minuti soprattutto agli spettatori cinematografici che, spesso, hanno un’idea alquanto parziale e superficiale di questo fenomeno musicale ed etnico. L’idea vincente del documentario è stata quella di abbandonare l’aspetto ‘spettacolare’ e ‘commerciale’ del canto a tenore: infatti nel film (a parte un brevissimo momento) non vediamo palchi, musicisti in costume, riprese in set televisivi. Questo tipo di musica così caratteristica della nostra isola, nello stesso tempo evocante l’arcano e il mistero della civiltà agropastorale, viene mostrata nella sua veste maggiormente veritiera, nei suoi luoghi di produzione e di esibizione, ovvero i bar (o meglio ‘sos zilleris’), le feste familiari o quelle della comunità, ancora non intaccate dal banalizzante folclorismo. Come viene detto nel film, infatti, “il tenore è questo… è cantare in un bar, dopo una cena tra amici, è cantare quando se ne sente il desiderio, senza forzature e per il piacere di cantare”. Chiunque, però, anche il più profano degli ascoltatori, si rende conto, sentendo le voci delle quattro persone (solista, bassu, mesu boghe e contra), che esiste una stretta connessione tra quella musica e la natura della Sardegna in tutte le sue forme.

Così, le splendide riprese aeree dei paesaggi isolani, prevalentemente dell’interno, incrociate nel montaggio allo svolgersi delle canzoni, non sono visioni spettacolari di tipo turistico, ma veri e propri luoghi della mente e dell’anima, proiezioni dei cantori e passaggi archetipici per l’immaginario degli spettatori. Il canto a tenore, poi, non viene visto in “A bolu”, esclusivamente come ricostruzione e evocazione del passato, qualcosa da analizzare come un reperto immobile e standardizzato, bensì come una cultura ancora estremamente viva e sentita. Come è stato affermato dagli autori, nella presentazione, si tratta di un mondo “complesso e praticato da persone diversissime, dai pastori agli operai, dagli impiegati agli insegnanti, dagli studenti ai disoccupati, tra giovanissimi, adulti e anziani (e persino bambini, come i ‘Sos Isteddos’ di Pattada). Ciascuno con la sua storia, le sue esperienza, il suo vissuto”.

Tali protagonisti – e questo è il secondo elemento vincente di ‘A bolu’ – vengono ripresi anche mentre discutono della forma musicale che amano e contribuscono a far vivere. Sono dialoghi mai noiosi, dove le competenze tecnico-sonore del canto a tenore sono messe in evidenza, così come le diversità e le interpretazioni udibili nei vari paesi, allo stesso modo in cui si inseriscono le riflessioni sulla lingua sarda, sulla importanza della tradizioni culturali da tramandare ai più giovani, sul legame tra la sonorità e il contenuto poetico. A questo proposito, viene detto, nel film, quanto la musica del canto a tenore non abbia senso senza una convivenza con l’aspetto poetico. D’altronde, sappiamo che grandi poeti sardi ne hanno fornito la struttura contenutistica, tra gli altri si possono citare per i loro testi Peppino Marotto, Peppino Mereu, Raimondo Piras.

Sul tema, nel film, Francesco Lai, poeta di Dorgali, afferma: “La poesia è bella, bellissima. Ma senza il tenore che la dipinge come un quadro, non è poesia”. Dunque, è sorprendente vedere i giovani avvicinarsi con passione e grandi qualità artistiche a questa forma musicale: alcuni raccontano di aver sentito da piccolissimi delle musicassette registrate con canzoni a tenore e, da quel momento, non aver abbandonato mai questa espressione musicale, nonostante le difficoltà della vita quotidiana. Altri ricordano di aver sentito incantati “i vecchi” e di essere stati accettati con bonaria criticità nei gruppi.

Davide Melis, Salvatore Pillosu, Luca Melis hanno anche raccontato la genesi di ‘A bolu’, un progetto in cantiere da alcuni anni, reso possibile, come si è già detto, dal finanziamento al 70 per cento dal bando regionale “Identity Lab”. Il documentario ha avuto, infatti, un costo di centomila euro e, come hanno sottolineato gli autori, in ogni caso, non sarebbe stato possibile realizzarlo “se non con la collaborazione di tutti i protagonisti e delle comunità, le quali ci hanno ospitato come dei fratelli. Questo è stato un motivo che ha stimolato in noi il desiderio di girare il film con tutta l’onestà possibile; le comunità lo hanno capito e si sono dimostrate veramente splendide”. Il regista ha poi aggiunto: “Abbiamo cercato di allontanarci da qualsiasi stereotipo, da ogni possibilità di superficiale commercializzazione, tipica magari di certe produzioni televisive. Qualcuno ci ha pure detto: ‘Ma in questo film sardo ci sono poche pecore!’ Ecco abbiamo tentato una via diversa per mostrare la nostra cultura”. Aggiungeremo che il film ha una sua punta di forza nello splendido lavoro di sound design firmato da Marco Rocca e Arnaldo Pontis.

‘A bolu’, nel mese di giugno, inizierà il suo percorso festivaliero: sarà in concorso a Monselice, in Veneto, per la dodicesima edizione dell’ “Etno film fest”. Il documentario, prodotto da Karel film è stato realizzato anche in collaborazione con l’associazione Tenores Sardegna, con la società di servizi informatici Arionline e con il supporto della Fondazione Sardegna film commission.

Elisabetta Randaccio

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