Pozzo di Santa Cristina, scavi del ’67. “Tutto originale, a parte alcuni gradini”

In un precedente articolo ho tentato di descrivere la geometria lunare del magnifico pozzo di Santa Cristina a Paulilatino (leggi qui), messa in luce in quarant’anni di indagini archeoastronomiche. A partire dagli anni Settanta ’70 con gli studiosi Carlo Maxia ed Edoardo Proverbio, e fino agli anni Duemila con le ricerche di Mauro Peppino Zedda e del docente di Storia delle religioni, Arnold Lebeuf, tutti hanno concordato concordano sul fatto che il pozzo dell’Oristanese sia funzionale all’osservazione del moto della luna. Lebeuf, che dal 2016 è anche cittadino onorario di Paulilatino, ritiene che il Santa Cristina sia addirittura il primo strumento al mondo per la previsione delle eclissi, una tesi, questa, contenuta anche nell’Handbook of archaeoastronomy and ethnoastronomy, un monumentale trattato di archeoastronomia ed etnoastronomia.

Purtroppo però è storia nota (e irrisolta) che molti archeologi sardi manifestano una prudenza o per meglio dire una diffidenza sugli studi in materia, pur se pubblicati su riviste internazionali. Uno degli argomenti più utilizzati per stroncare la teoria sulla geometria lunare del pozzo di Paulilatino riguarda il fatto che il Santa Cristina sarebbe stato ‘ricostruito’ dagli archeologi all’atto dello scavo e pertanto qualsiasi indagine sulla sua struttura è destituita di fondamento. La questione è intrigante e decisiva: stando a questo filone di pensiero difeso su tutti dalla professoressa Giuseppa Tanda, gli studi archeoastronomici sono stati eseguiti su una cupola per così dire ‘manomessa’ e non su un manufatto originale nuragico. Ho pensato quindi di intervistare sul tema l’ingegner Ambrogio Atzeni, classe 1930, novanta anni indossati con la lucidità di un trentenne. Il professionista, nel lontano 1967, partecipò ai lavori di scavo in veste di capo cantiere, con l’archeologo Enrico Atzeni. L’ingegnere è quindi un testimone oculare diretto di quanto accaduto a Paulilatino.

Lei è un ingegnere civile. Come mai era coinvolto in lavori di scavo archeologico?

Iniziai la ma carriera nel 1956 come ingegnere funzionario all’assessorato ai Lavori pubblici. Nel 1965 fui assegnato alla campagna di scavo per coordinare i cosiddetti “cantieri di lavoro”, tra i quali erano inclusi due attività archeologiche, nel pozzo di Santa Cristina e, successivamente, nel tempio di Antas.

Come si presentava il pozzo al momento dell’inizio dei lavori, nel 1966?

Era pieno di materiali di ogni genere. Lo ripulimmo a mano, con grande pazienza.

Cosa è stato trovato dentro il pozzo?

Trovammo quattro bronzetti. Ancora ricordo la gioia mia e degli operai.

Veniamo al dunque: quali pietre sono state ricollocate nell’apparato murario del pozzo e quali no?

Sulla scala di ingresso esisteva solo metà gradinata. Facemmo quindi scolpire dagli scalpellini i nuovi gradini, ben visibili e distinguibili a tutt’oggi dagli originali. Questi gradini portano all’interno della cupola (tecnicamente si parla di tholos) che culmina con un anello formato da due filari di pietre che chiudono il foro del pozzo.

Conferma che i filari della cupola sono originali? 

Sì, con assoluta certezza. Le pietre che compongono il foro apicale sono state trovate a pochi metri di distanza dal pozzo. Noi ci limitammo semplicemente a rimetterle in posto, senza aggiungere o modificare nulla. Credo di aver fatto un ottimo lavoro insieme agli operai e all’archeologo Atzeni.

Cosa pensa dell’affermazione secondo cui la cupola sarebbe interamente ricostruita e la sua geometria lunare sarebbe l’esito della campagna di scavo?

Mi fa sorridere. Non ho alcuna nozione di astronomia né dei moti della luna. Quindi non mi sarei mai sognato di ricostruire il pozzo secondo geometrie astronomiche o lunari. Se oggi le si riscontra, non le abbiamo certamente create noi.

Paolo Littarru *

* Ingegnere, studioso di archeoastronomia

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