Notti di fuoco: la festa di Sant’Antonio Abate in Sardegna

Notti di fuoco attendono l’isola dei nuraghi. Grandi alberi secolari in fiamme, sas tuvas, illumineranno le piazze dell’isola proiettando scoppiettanti faville, bagliori che ceselleranno, nel cielo buio, fantasiosi arabeschi di luce.

Processioni e balli sfrenati daranno vita alla festa secolare in ricordo di Sant’Antonio Abate che, secondo la tradizione, scese negli inferi e rubò, ingannando i diavoli, il fuoco per portarlo sulla terra, invasa dal gelo, e farne dono agli uomini.

I falò dedicati al Santo sono frammenti culturali di antichi riti pagani dedicati alle divinità fecondatrici. Dal modo e dalla rapidità con cui divampavano le fiamme e dall’orientamento del fumo gli antichi traevano auspici sul raccolto. Il rogo diventava punto di aggregazione e di festa. Le fiamme simboleggiavano le preghiere che si levavano al cielo, in onore al Santo.

E’ l’antico mito che si trasforma nei millenni, da Prometeo a Sant’Antonio. La forza vitale del fuoco prelude al “Carrasecare”, il triste carnevale sardo che commemorerà la morte di Dioniso, dio della natura e dell’estasi, che ogni anno muore e risorge nell’immutabile ciclo della vita.

Sant’Antonio Abate era considerato (in Sardegna come in Spagna) anche protettore degli animali. Per la festa era tradizione impartire una benedizione collettiva agli armenti radunati per l’occasione. La professoressa Dolores Turchi, studiosa di tradizioni sarde scrive: «era considerato protettore dei porcari i quali, in suo onore, sacrificavano ogni anno un maiale. La carne del maiale arrosto, accompagnata da abbondante vino, veniva poi distribuita a tutti coloro che si intrattenevano davanti al falò preparato in onore del Santo […]. Insieme alla carne si offriva anche un pane caratteristico, fatto apposta per l’occasione. Questo pane veniva impastato con la sapa ed aveva nome e forma diversa a seconda dei paesi. Comunemente era conosciuto come “pane di Sant’Antonio” […]. I pastori, a gennaio, mettevano da parte un agnello, il più bello, da donare al Santo. Era l’offerta della primizia fatta alla divinità per propiziarsene i favori».

Ora la festa ha perduto i suoi antichi connotati di sacralità per diventare un avvenimento turistico. Mantiene tuttavia intatti il fascino e la primitiva suggestione che rievoca e rinnova riti ancestrali e credenze antiche.

Si inizia il 12 e 13 gennaio con “Is Foghidonis” di Sadali, poi Il 16 e 17 gennaio in moltissime altre località dell’isola, fra cui Abbasanta, Aidomaggiore, Ardauli, Busachi, Fordongianus, Ghilarza, Morgongiori, Norbello, Paulilatino, Samugheo, Scano Montiferro, Sedilo, Tresnuraghes e Ula Tirso nella provincia di Oristano, Aritzo, Baunei, Birori, Bitti, Bolotana, Bortigali, Bosa, Budoni, Desulo, Dorgali, Fonni, Macomer, Mamoiada, Nuoro, Orosei, Ottana e Siniscola in provincia di Nuoro, Monteleone Rocca Doria, Sassari -Li Punti, Ozieri, Illorai, Bono, Benetutti e Nule in Provincia di Sassari.

Sarà l’ultima ricorrenza gaia dell’inverno perché, già durante la festa, faranno la loro comparsa, a Mamoiada, le inquietanti figure dei Mamuthones. Le lugubri maschere annunceranno il carnevale barbaricino, luttuoso e misterioso. Poi, con lo spegnersi delle ultime braci la festa avrà fine, tornerà il freddo. E sarà già “Carrasecare”.

Enrico Pinna

Immagini di Rosy Giua

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