“Il lungo viaggio di Joyce Lussu” nel poetico film di Marcella Piccinini

Il ‘Carbonia Film Festival’, conclusosi il 16 ottobre scorso, oltre al concorso ufficiale, di ottimo livello qualitativo, ha riservato al pubblico, che ha affollato il Cine-Teatro Centrale, alcune sorprese cinematografiche: opere, per la prima volta, proiettate in Sardegna o già programmate, ma esclusivamente in alcuni Festival. Non è stata una prima assoluta, però rimane uno dei film maggiormente interessanti visti durante la manifestazione a Carbonia, “La mia casa e i miei coinquilini – Il lungo viaggio di Joyce Lussu” firmato da Marcella Piccinini.

marcella-piccininiLa regista (nella foto a sinistra), presente alla proiezione festivaliera, ha raccontato come l’input per dedicarsi con passione alla figura straordinaria di Joyce Lussu, è venuto dalla visione di una intervista realizzata da Marco Bellocchio circa venti anni fa, dove la moglie dell’autore di “Un anno sull’altipiano” rivelava il suo carattere deciso, la sua ironia e la sua vena critica, anche nei confronti di un passato considerato quasi mitico. Da quel momento, per la Piccinini si è spalancato un mondo culturale sconosciuto e, attraverso la Lussu, ha scoperto al di là di ogni stereotipo, la Sardegna. In realtà , il documentario sarebbe dovuto essere realizzato da Bellocchio, ma, in seguito, il progetto è mutato radicalmente e la regista lo ha ereditato e interpretato con la sua personale creatività.

L’interesse di “La mia casa e i miei coinquilini” (frase dei genitori della scrittrice estrapolata da una citazione posta in esergo al film, che descriveva il mondo come una grande abitazione e i popoli come vicini da conoscere e rispettare) sta nell’approccio originale con cui è stato affrontato il materiale e la sua elaborazione cinematografica. Nonostante la Piccinini abbia realizzato, durante le riprese, molte interviste a svariate persone che conobbero, incontrarono la Lussu, nel documentario vengono annullate, alla ricerca di un metodo diverso di narrazione rispetto a quella del classico biopic. La focalizzazione è sul materiale di repertorio, recuperato in buona parte dall’Archivio dei film facenti parte del progetto “La tua memoria è la nostra storia” della Società Umanitaria-Cineteca Sarda di Cagliari.

Incrociando luoghi e visi provenienti dal passato insieme a fotogrammi che restituiscono pure il contesto storico in cui visse Joyce Lussu, lo spettatore entra nella magia poetica dell’evocazione, spesso attraverso associazioni e metafore sorprendenti. Le parole della protagonista, lette dalla bravissima Maya Sansa o registrate in qualche rara intervista o intervento pubblico, completano un ritratto, senza bisogno di ricalcare passo per passo la cronologia, ma capace di definire più emozioni che teorie, scelte anche sbagliate, soprattutto sul piano personale, abbattendo qualsiasi possibilità di farne un “santino”, anche se la forza morale e civile incredibile della protagonista scaturisce comunque.

joyce-lussuIl legame della Lussu con la Sardegna appare evidente. Certo l’Isola è stata “una casa” come lo fu la Turchia, Parigi, Roma o uno dei tanti paesi e città dove la donna lavorò o abitò, ma la Sardegna diventò da subito luogo di riflessioni e di lotta. Viene, per esempio, raccontato come riuscì a coordinare le donne sarde, anche di più umili condizioni, per ragionare sui loro diritti, calpestati anche dai mariti “compagni”, impegnati progressivamente in politica, per quanto maschilisti in famiglia. Le immagini, poi della casa di Armungia, le quali insistono sugli oggetti quotidiani (la borsa di paglia, la poltroncina, le pentole, la macchina da scrivere…) stigmatizzano uno spirito che sembra non si sia allontanato mai da quel particolare “rifugio”.

La conclusione opta per l’elemento amaro del racconto confessione di una scelta, di cui negli anni di maturità ci si può melanconicamente pentire: aveva più senso dedicarsi ai grandi problemi degli altri o dare spazio alle esigenze della maternità ? Sfuma il dubbio, all’interno di un’esistenza speciale, la quale poteva diventare autoreferenziale come “moglie del ministro”, del grande politico, dell’affermato scrittore e, invece, l’ha portata ad allontanarsi dalle stanze del potere per, magari, tentare di dare voce, con l’ausilio della traduzione intesa come interpretazione personale, a poeti lontani, i quali altrimenti non sarebbero mai stati conosciuti e pubblicati in Italia.

Una riflessione amara è stata fatta da Marcella Piccinini, a conclusione della proiezione. Infatti, il film, realizzato con fatica e impegno per tanti anni, di così notevole qualità , non può, per ora, essere distribuito in sala, perché non si sono potuti pagare degli esosi diritti su alcune sequenze di documentari storici, serviti a descrivere l’ambiente francese dove vissero in esilio Joyce e Emilio Lussu. Una situazione paradossale e assurda. Le immagini usate per un progetto culturale, che potrebbe essere fruito, per esempio, con successo dalle scuole, devono essere legate a un problema di denaro? “La mia casa e i miei inquilini” diventerà un film invisibile, come tante altre opere a piccolo budget?

Elisabetta Randaccio 

 

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