“L’Asino vola” alla Bocconi di Milano grazie all’estro di Antonello Cuccu

C’è una rilettura originale e personalissima della tradizione popolare sarda nell’esposizione di Antonello Cuccu inauguratasi, lunedì 12 novembre, negli spazi dell’Università Bocconi di Milano. E non è un caso. Gli echi della civiltà isolana si radicano profondamente nell’insolito percorso dell’artista bosano, da oltre venti anni responsabile del settore espositivo della casa editrice Ilisso, popolando e impreziosendo il suo multiforme paesaggio creativo: dall’arte popolare delle antiche comunità, all’impiego del tessuto, dall’uso della ceramica, a quello degli smalti e del metallo. Ma è dal titolo che occorre partire per provare a interpretare le trame della fortunata esposizione milanese che, lunedì scorso, ha visto la sala del ristorante Bocconi affollata di pubblico in occasione del vernissage e un articolo di richiamo sul quotidiano La Repubblica.

Cuccu, allievo di Maria Lai e tra gli artisti concettuali più originali della sua generazione, ha pensato a un titolo dal sapore fantastico: “L’Asino vola“, apprezzato dalla storica e critica d’arte Elena Pontiggia, curatora della mostra. “Antropologicamente l’asino è sempre stato associato a un’idea ancillare di servizio, di umiltà –scrive Pontiggia -. L’asino fa pensare alla terra; al peso e alle fatiche del lavoro quotidiano, il contrario del cavallo (e di conseguenza della statua equestre, emblema di trionfo) e non è senza significato che, nei Vangeli, Cristo voglia entrare a Gerusalemme su una puledra d’asino”.

L’espressione “l’asino vola”, nel linguaggio di tutti i giorni, sta a indicare un fatto assurdo, impossibile, sinonimo di ingenuità e sprovvedutezza. Allora perché questo titolo? Forse perché l’arte rende possibile l’impossibile, rovescia i luoghi comuni, “smaschera le falsità in cui siamo immersi – chiosa Pontiggia – e capovolge i rapporti di potere”. Appare allora più chiaro, dunque, perché gli asini della mostra milanese volano, e non solo metaforicamente: guardando le opere ci si trova davanti a una tensione del cuore e della mente che non lascia indifferenti, ma sollecita a un movimento continuo, a un zigzagare tra i colori e la luce delle opere, con le orecchie dell’asino che si trasformano in eliche e le terre e i bruni di Sardegna che rimandano a paesaggi fantastici.

Nelle quattro serigrafie posizionate proprio all’ingresso dell’esposizione, “il profilo dell’asino assume un accento pop e insieme elementare – scrive Pontiggia – come se fosse uscito da un sillabario. Sullo sfondo alcuni schemi decorativi in bianco e nero (neo-optical, potremmo dire) suggeriscono, col loro andamento diagonale, un senso inquieto di movimento. E ancora, andando in ordine sparso, ecco i piccoli oggetti in terraglia, divisi tra scultura, design, installazione (e in mostra riprodotti in gran parte fotograficamente per ragioni contingenti). Il ritmo neo-optical ritorna nei piccoli marsupi che compongono anch’essi, in forme confidenziali e domestiche, un arco a tutto sesto di ascendenza classica”. Nelle opere in mostra affiorano come piccole isole i ricordi privati di Cuccu, evocando i luoghi della sua geografia affettiva: Bosa, dove è nato, ma anche Roma, dove ha vissuto e studiato incontrando i grandi maestri dell’arte contemporanea, OristanoMamoiada, il paese nel cuore della Barbagia dove oggi l’artista ha scelto di abitare. (don.perc.)

 

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