La verve di Rossella Faa inaugura i concerti alle Grotte del Bue Marino

Una Rossella Faa in forma smagliante ha tagliato il nastro dei concerti alle Grotte del Bue Marino. L’antro, illuminato di un azzurro dai toni del mare, in tema con l’ambiente circostante, ha fatto da sfondo ad un dialogo aperto e costante con il pubblico, una comunicazione vivace e briosa alla continua ricerca di uno scambio con gli astanti: esperienze, opinioni e confidenze ironiche e scherzose. “Non è così?” una domanda retorica che cerca conferma in un trascorso comune e osservazioni sui microcosmi del quotidiano, ottiene risposte timide e risate frenate dalla compostezza o dalla rassegnazione alla verità che la Faa ci espone. Altri, al contrario, non possono fare a meno di scoppiare in una liberatoria risata, una reazione dirompente al crollo delle ipocrisie che regolano la società. Se i topos della Faa si basano su assunti universali e comprovati, la leggerezza con cui li trasmette rende il racconto fruibile e piacevole. Tra una pretta niedda, una blatta nera “Discretta fill’e Deu”, con un raddoppiamento tipicamente sardo “di cui non dobbiamo vergognarci” che teme l’invasione della periplaneta “rossa e con ali bionde”, all’acqua di mare che si innamora del sole, sino alle donne che in guerra, portando avanti la vita, si ricordano di cantare tenendo viva la loro anima e i loro ricordi. E sui ricordi si basano numerose canzoni del repertorio di Rossella Faa “La gita de is pingiadas” di cui è protagonista la signora Rosa, a cui è dedicata anche un brano omonimo, e “Cannacca macca” che segue le vicende di alcune comari di Masullas che in seguito all’arrivo di una bambina olandese (per metà sarda) malignano sul suo portamento eccentrico additandola come “matta” perché particolarmente allegra e socievole. Un canto in lingua campidanese e un arrangiamento samba-jazz che sposa perfettamente la metrica del dialetto, grazie anche ai musicisti che l’accompagnano: Giacomo Deiana alla chitarra, Nicola Cossu al contrabbasso e Stefano Sibiriu alle percussioni. “Entusiaaasti” li apostrofa lei e –a dirla tutta- lo siamo anche noi.

Al tramonto, in attesa dell’eclissi, i Faces of Alex ci conducono su un sentiero diverso, strumentale e dal sapore Nu Jazz e fusion. Alessio Sanna, da cui prende il nome l’ensemble, ci mostra i volti di Alex ossia la libertà di potersi muovere tra generi e tematiche, dimostrando di saper portare sul palco (insieme al bassista Mauro Medde e al batterista Andrea Murgia) nuove soluzioni e interpretazioni. Le ispirazioni musicali di stampo progressive, si lasciano smascherare passaggi e tempi sempre mutevoli all’interno dello stesso brano, ma sono le influenze letterarie a permeare la composizione e a seguire l’andamento dell’esecuzione. Come nel caso di “Hope” scritta in un momento di smarrimento, paragonato ad una zattera che vaga senza meta, alla deriva, per approdare –infine- su placidi lidi. I Cuncordia a Launeddas sollevano il sipario della seconda –e ultima- serata in teatro con un “Accumpangiamento a sa Cunfraria” e l’accompagnamento degli sposi, tratto dalle registrazioni della metà del secolo scorso dell’etnomusicologo danese Bentzon, chiudendo il concerto con alcune composizioni campidanesi tradizionali che accompagnamento canti e balli. Matthew Whitaker rivela da subito una passione per il soul funk e il ragtime aprendo, in maniera esplosiva, un pezzo suonato con l’hammond B3, lo strumento per cui il giovane artista ha coltivato sin da bambino una passione irrefrenabile e che ha studiato da autodidatta. Il chitarrista (e bassista) Edward Morcaldi, riprende alcuni pattern funky-jazz in un confronto serratissimo fatto di brevi rimbalzi tra uno strumento e l’altro. Allo stesso modo, i piatti di Sipho Kunene, inseguono i tempi dettati dalle dita del pianista, non risparmiando qualche incursione nell’improvvisazione con colpi rapidissimi tra charleston, ride e piatti che non smettono nemmeno un momento di vibrare. Al piano, Whitaker, si sente nel suo ambiente e tra un giro di ottave e l’altro, passa ad una keyboard per poi voltarsi, tornare all’organo e riprendere il brano da dove lo aveva interrotto. L’interazione con gli altri musicisti sul palco completa la performance, ma se questo sorprendente ragazzo si esibisse come un One Man Band sarebbe capace di tenere un palco per ore. Vitale, curioso e affamato di ascolti e sperimentazioni, Whitaker non è più una promessa del jazz, si è già guadagnato un posto tra i “Big”.

Martina Serusi

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