Gramsci, “testa di rivoluzionario”: i film e gli eventi a 80 anni dalla morte

“Antonio Gramsci ha la testa di un rivoluzionario: il suo ritratto sembra costruito dalla sua volontà… il cervello ha soverchiato il corpo. Il capo dominante sulle membra malate sembra costruito secondo i rapporti logici di una grande utopia redentrice e la serba nello sforzo una rude serietà impenetrabile”. Così Piero Gobetti descriveva Antonio Gramsci, sottolineandone il carisma e la forza intellettuale capaci di andare oltre un corpo sofferente, sin dall’infanzia, tormentato dal morbo di Pott e da altre malattie, piegato da una carcerazione devastante nelle prigioni fasciste che lo portò a morire in una clinica romana il 27 aprile del 1937. Diceva Enrico Berlinguer: “Lo hanno ammazzato scientificamente”. D’altronde, è ben nota la frase del pubblico ministero del Tribunale Speciale il quale affermò, nella requisitoria del processo contro gli oppositori comunisti: “Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Ma Gramsci voleva resistere all’abbruttimento del carcere (in cui trascorse gli anni dal 1928-1935) proprio usando la sua mente così straordinaria, la sua volontà incredibile; in questo modo nascono i suoi rigorosi programmi di studio, di scrittura, appunti complessi che formeranno i “Quaderni dal carcere” e l’epistolario, il quale, aldilà del valore biografico e politico, può essere considerato un testo di riferimento per la nostra letteratura, il ritratto di uomo dove speranze, dolori emozioni sono descritte in una forma stilistica notevole. Una lettura, quella della raccolta epistolare gramsciana, capace di arricchire culturalmente e trasformare in meglio il pensiero di chi l’affronta.

Le opere di Antonio Gramsci sono diffuse capillarmente in tutto il mondo. Si è detto a un recente convegno come “all’estero sia un’icona” e le sue idee, ricostruibili nel corpus dei suoi scritti, abbiano ancora oggi una notevole validità nella pratica sociale. In Italia la sua fortuna critica ha alternato momenti di grande interesse (tra gli anni sessanta e gli ottanta) a un certo svogliato rispetto tendente a non approfondire le sfaccettature della sua elaborazione ideale, assai originale sia nell’analisi marxista, sia in quella storica, sociologica, persino letteraria (importantissime, per esempio, per capire il significato della letteratura di genere, le sue osservazioni sul romanzo d’appendice). Nel 2017, quest’anno, ricorre l’ottantesimo della morte e nella sua Sardegna (era nato ad Ales nel 1891) l'”anno gramsciano” è già iniziato con varie manifestazioni. Il 15 marzo si è svolto un importante convegno sulla sua “pedagogia”, la scorsa settimana è stata presentata una docufiction (“Gramsci 44” di Emiliano Barbucci) e sta per uscire in sala un film, girato in Sardegna, firmato da Daniele Maggioni: “Nel mondo grande e terribile”, ambedue le opere raccontano alcuni momenti della esistenza di Antonio Gramsci.

Il convegno si è tenuto all’Università di Cagliari, organizzato dall’ “Associazione Gramsci”, la cui rappresentante Laura Stochino ne ha coordinato lo svolgimento. Hanno partecipato Peter Mayo dell’Università di Malta, Alberto Granese e Claudia Secci dell’Ateneo di Cagliari e Valeria Patanè (operatrice culturale, regista, rappresentante della FICC, altra associazione coinvolta nell’organizzazione). Negli interventi si è evidenziata la particolare idea pedagogica di Gramsci, che considerava l’educazione e l’alfabetizzazione fondamentale per la presa di coscienza individuale, per la crescita personale, culturale, politica. Anche nelle lettere dal carcere troviamo, infatti, consigli per l’educazione dei nipoti, dei figli lontani (vivevano in Russia con la Madre Giulia Schutz). Aveva a cuore una scuola unitaria, che andasse oltre le divisioni tra licei e istituti professionali pensati dalla riforma Gentile, ma, soprattutto, aveva ben presente che, nelle varie fasi dell’istruzione, come ha ricordato il prof. Mayo, “ogni maestro deve essere scolaro e ogni scolaro maestro”, con uno scambio di saperi continuo e dialettico.

Proprio su un episodio della vita di Gramsci, non sempre messo in risalto dagli studiosi, riguardante una sua pratica pedagogica, si fonda “Gramsci 44“, il lungometraggio di Emiliano Barbucci (leggi qui). Si tratta dell’esperienza di “scuola” che il pensatore sardo insieme a Amedeo Bordiga, in quell’epoca suo compagno di confino, realizzò a Ustica, la quale si pensava dovesse essere la terra in cui Gramsci avrebbe dovuto scontare la sua pena. In realtà, trascorso poco più di un mese, lascerà l’isoletta per essere rinchiuso, dopo il processo a Milano, nel carcere di Turi, luogo di dura detenzione per tanti anni, dove rimarrà fino ad alcuni mesi prima della morte. Però in quei giorni usticesi, descritti nelle lettere ancora con una certa speranza e serenità (“siamo dunque in cinque, divisi in tre camerette… abbiamo a nostra disposizione una bellissima terrazza dalla quale ammiriamo lo sconfinato mare durante il giorno e il magnifico cielo durante la notte”). Gramsci, con il suo impegno pedagogico, lasciò un segno forte sull’isola. Nel film, ascoltiamo le interviste agli abitanti di Ustica, che ricordano i padri e i nonni, i quali impararono a leggere e a scrivere alla “scuola” del pensatore sardo, indicano la casa dove viveva con gli altri confinati e la roccia sul mare in cui rimaneva a rilassarsi guardando il mare. Si evoca anche il gioco preferito dai detenuti politici con i sassi della costiera fatti saltare sulle onde. E allora, in occasione della proiezione del lungometraggio svoltasi ad Ales la scorsa settimana, il regista e lo sceneggiatore hanno donato alla casa natale di Gramsci proprio un sasso di Ustica per evocare i giorni di una prigionia “sopportabile” e la riconoscenza degli abitanti della piccola isola per quei quaranta giorni di impegno a favore degli ultimi.

Anche “Nel mondo grande terribile” di Daniele Maggioni, dal 23 marzo nelle sale (leggi qui), ha come obiettivo il far conoscere il pensiero di Gramsci, ma soprattutto la sua dimensione strettamente umana, quotidiana. Come ha affermato il regista “Si tratta di un film quasi ‘astratto’, dove si intrecciano piani narrativi. Così capita che si ritorni alla vita precedente alla carcerazione di Gramsci, mentre durante la detenzione sembra si materializzino i fantasmi della sua memoria.” La sceneggiatrice de “Nel mondo grande e terribile” Maria Grazia Perria ha sottolineato la difficoltà incontrata a “sfiorare un simile personaggio. Abbiamo cercato di restituire le parole a Gramsci. Ogni dialogo può essere fatto risalire alle “Lettere” e ai “Quaderni”. Così come usare un attore sardo é servito a evidenziare le sue radici. Del protagonista, Corrado Giannetti, ci ha colpito la voce, sottile, come pare fosse quella di Gramsci. Non abbiamo cercato una somiglianza fisica, abbiamo lasciato che ci fosse, però, un leggero accento sardo come poteva essere nella realtà. Abbiamo, in questo senso, inventato un personaggio, un secondino di origine isolana con cui Gramsci può colloquiare, allo stesso modo succedeva nella realtà: appena poteva chiacchierava nella lingua della sua isola.”

Elisabetta Randaccio

Foto Mathia Cocco

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