Gavoi, pensieri e parole dell’insolita coppia Guccini-Macchiavelli

Intervista a Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli che, a quattro mani, hanno scritto il romanzo “La pioggia fa sul serio”.

Un’accoglienza per acclamazione. Questo l’affetto dimostrato di buon’ora a Francesco Guccini e a Loriano Macchiavelli questa mattina a Lodine. Una folla curiosa, per nulla intimorita dalle temperature africane che si registrano in questi giorni, una folla che tributa il suo particolare affetto a due rappresentati della recente cultura del nostro tempo. Un inaspettato siparietto, poi, nello scoprire che tra la folla è presente la figlia della storica maestra di Pàvana, originaria del Nuorese. Maria Antonia Guiso, si chiamava, che fu maestra del piccolo Francesco, anche se solo per una settimana.

Abbiamo incontrato gli autori del romanzo ‘La pioggia fa sul serio’, che ci parlano del loro sodalizio letterario, della Sardegna e dell’indimenticato Fabrizio De André, che in questi monti molto simili all’Appennino tosco-emiliano, visse il periodo drammatico del suo sequestro. Luoghi che ispirarono canzoni come ‘Hotel Supramonte’.

Guccini, come si passa dallo scrivere canzoni ispirate agli ideali della rivoluzione – quale ‘La locomotiva’ – allo scrivere romanzi gialli oggi?

Guccini: Non credo ‘La locomotiva’ sia una canzone di rivoluzione. Si riferisce ad un episodio. Io sono piuttosto un cantante della Resistenza. In un nostro romanzo, per esempio, parliamo di Resistenza. Non so dire se c’è un filo conduttore tra le due cose. Non mi definisco neppure un giallista. Giallista è Loriano: io  vado dietro a lui. Scrivo diversi tipi di cose. Il giallo è solo uno degli episodi della mia scrittura.

Machiavelli: Io credo invece che per Resistenza oggi si possa intendere il fatto di non essere accondiscendenti verso tutto quello che ci viene prospettato. È un atteggiamento, uno stile di vita, in qualche modo.

Il posto in cui stiamo ora, il lago di Gusana, è un posto molto simile ai luoghi di ambientazione dei vostri romanzi. Pensate che potrete mai ambientare un vostro romanzo in Sardegna?

Guccini: Devo dire che della Sardegna conosco relativamente poco. Conosco quello che ho imparato a conoscere durante i concerti che ho fatto qui: Sassari, Cagliari, Nuoro, e in un paesino, di cui non ricordo il nome, in cui si vedevano i castagni. Molto simile ai nostri ambienti. Il castagno era una fonte di ricchezza, faceva parte dell’economia del posto. I montanari delle mie parti venivano in Sardegna a fare carbone di legna. E ci sono diversi gruppi di origine sarda nel mio paese. La stessa maestra del nostro paese veniva da questa zona, faceva di cognome Guiso. Era un’istituzione, e veniva molto rispettata. L’ho avuta per una settimana io. In uno dei nostri romanzi, poi, c’è anche un personaggio sardo, sicuramente un pastore, dei tanti trapiantati in Toscana.

Machiavelli: Io non credo si possa scrivere romanzi senza conoscere i luoghi di ambientazione del romanzo che si scrive. Romanzo è anche parlare della società, conoscerla. La particolarità del romanzo è proprio quella di essere profondamente radicato in un territorio. Abbiamo scritto di Bologna, perché la conosciamo bene, ed abbiamo scritto dell’Appennino, perché Francesco in particolare lo conosce molto bene. A volte i nostri monti non coincidono. Abbiamo anche dovuto far mettere una mappa, una volta, per evitare di creare delle incongruenze nel testo. La conoscenza del luogo è indispensabile perché il romanzo sia credibile. Per esempio ho appena finito di scrivere un romanzo ambientato in Sicilia, ma solo perché per anni mi sono documentato, ed ho vissuto lì a contatto con la gente. Alla fine mi sono appropriato di un paesaggio che pur non era il mio, ed lì ho imparato ad amarlo.

Ci sono secondo voi dei collegamenti tra musica e scrittura?

Macchiavelli: A questa domanda faccio decisamente rispondere Francesco…

Guccini: Non ci sono dei collegamenti. Sono due cose molto diverse. Dico quello che penso: che cioè scrivere una canzone è forse più difficile che scrivere in prosa. La canzone condensa, nasce in un’idea. E poi questa idea viene sviluppata, in versi, strofe. Anche se facevo canzoni di dodici minuti. Però bisogna stringere per raccontare. Nella prosa uno può scrivere due pagine per raccontare, e ci si può dilungare quanto vuole. E poi bisogna dire che nella canzone ci sono parole e anche musica: quindi è più complessa l’operazione. Credo siano due cose molto diverse. Possono essere equiparate se l’autore è lo stesso, anche quando usa una forma diversa di raccontare il proprio mondo, che in fondo è lo stesso…

Ma esiste una musicalità nella scrittura?

Guccini: Può darsi. Chi ha scritto canzoni, forse conserva nella propria scrittura anche un certo tipo di musicalità. Questo non lo so dire io. Forse dovrebbe farlo un critico.

In questi luoghi delle montagne di Barbagia non siamo lontani dai posti in cui De André è stato rapito. A poco più di quindici anni dalla sua scomparsa, vi chiedo un suo ricordo.

Guccini: Io l’ho conosciuto. Siamo stati non dico amici, ma ci siamo visti diverse volte. Dai primissimi tempi in cui aveva paura ad esibirsi. Mi ricordo che la prima volta che ci siamo conosciuti era venuto a Bologna. Io avevo un’amica sui colli di Bologna, tantissimi anni fa, era la metà degli anni ’60. Ci siamo incontrati da amici, che ci pregarono di fare una canzone a testa. Io ho fatto la mia canzone, mentre lui dice ‘no, non la faccio’. Poi aggiunse: ‘Vabbè se spegnete la luce la faccio’. Quando hanno spento la luce ha fatto la canzone al buio…Poi l’ho rivisto ad un concerto a Bologna. In genere prima dei concerti io mangiavo sia prima del concerto che dopo il concerto. De André invece in quel concerto di Bologna ricordo che ha mangiato due uova all’ostrica: e cioè uovo con un po’ di olio e di sale. Credo che se io avessi fatto un concerto con due sole uova all’ostrica, non so cosa sarebbe successo. Ci siamo rivisti poco tempo prima che morisse: allora non beveva più, per la promessa fatta a suo a padre sul letto di morte…

Machiavelli: Il mio ricordo di De André, invece, è soltanto musicale. Sono stato tra quelli della mia generazione tra i primi a scoprirlo, e ad ascoltare tutto quello che usciva di suo. Non ho ricordi incredibili come quelli di Francesco, ma certamente ricordo le sensazioni che mi davano le sue canzoni. Ricordo in particolare quella bellissima canzone, ‘Il pescatore’. Quando la sento vedo le immagini davanti: il sorriso strano di quell’uomo che si assopisce all’ultimo sole.

Davide Fara

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