“Cultura e memoria contro la barbarie”: all’Isre di Nuoro Pisanelli e Mangini

“Avevamo pensato a un lavoro riservato a pochi candidati, è diventato un incontro allargato, di persone ed esperienze, di sguardi e di visioni”. ‘Filmare una persona, un luogo’, workshop firmato Isre (Istituto etnografico regionale) in collaborazione con OfficinaVisioni e ‘Archivio cinema del reale’, “è stato un successo”, spiega Paolo Pisanelli, il regista che con la documentarista Cecilia Mangini ha organizzato l’evento (i due nella foto di copertina). Per tre giorni a Nuoro si sono fermati circa sessanta appassionati, arrivati da tutta Italia.

“Il laboratorio ha seguito un percorso che è andato in crescendo – sottolinea Pisanelli -. Siamo partiti dalla narrazione: volevamo innanzitutto a conquistare la fiducia dei partecipanti. Perché prima di ogni lavoro è necessario entrare in relazione. Successivamente abbiamo lavorato sulla memoria, sui ricordi, riscontrando che non è mai facile accertarne la veridicità, distinguere il vero dal verosimile nelle curve della memoria. Siamo poi passati ai luoghi. È sempre interessante filmarli: significa averne cura. Infine abbiamo scelto le parole e i rappresentanti di quei luoghi, volti o voci che diventassero parte rappresentativa di un comunità”.

Cecilia Mangini, per nulla provata dalle 72 ore di attività, nonostante i novantadue anni, racconta, con la voce ancora piena di emozione: “Questo workshop dell’Isre è stato un incontro che fin dal principio mi ha trasmesso una grandissima energia. Sono venuta per ascoltare i problemi dei giovani, per potermi arricchire delle loro testimonianze, e loro non mi hanno deluso, mi hanno dato tante cose. Ho sentito il battito del loro cuore. Mi porto dietro questo arricchimento, mi darà pensieri e occasioni di riflessione nei giorni a venire. Si cresce dentro, anche novant’anni. La crescita è ciò che conta veramente. La densità di quello che si vive. Non bisogna fermarsi mai”.

La più grande documentarista italiana in attività si schermisce, quando le si domanda come si sia trovata nei panni della docente. “Non sono una professoressa – risponde -: io credo, spero, mi auguro di essere riuscita a far capire che nel cinema documentario non bisogna spiegare, ma raccontare. Far germogliare la curiosità della curiosità”.

La documentarista, nella sua tappa nuorese, ha voluto rendere omaggio alla tomba di Grazia Deledda, nella chiesa della Solitudine, posta all’ingresso nord della città. “La Deledda non era solo una donna: era una grande persona. Ciò che scriveva non era destinato a sé ma era rivolto a tutti, donne e uomini, a un universo di persone con cui voleva entrare in contatto”. Numerose le analogie tra la scrittrice nuorese – Premio Nobel nel 1926 – e la più grande documentarista italiana in attività. Entrambe geniali, autonome e in un certo modo ribelli, Deledda e Mangini hanno aperto la strada alle donne in campi fino a quel momento riservati a soli uomini. “Lei così piccola, eppure così imponente, nel suo pensiero e nel suo sepolcro. Il suo Nobel fu strameritato. Sulla sua tomba mi sono commossa”.

“La cultura è un baluardo contro la barbarie – ha chiuso il presidente dell’Isre, Giuseppe Matteo Pirisi -, un modo per costruire ponti e non muri, nel nome dell’amicizia tra i popoli”. Rafforza il concetto Ignazio Figus, responsabile del settore Promozione e promozione audivisuale Isre: “Questa tre giorni è stata un momento di riflessione. Si è parlato di cinema, di fotografia, ma soprattutto si sono create relazioni. Abbiamo così sottolineato, una volta di più, il ruolo dell’Isre come laboratorio, luogo dove il cinema si pratica, ma soprattutto si fa”.

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