Come si rilancia l’artigianato nell’Isola. Il nuovo design sardo rinnova la tradizione

Andrea Tramonte

di Andrea Tramonte

La settimana scorsa un celebre designer lombardo è stato a Sarule per un progetto di rivitalizzazione dell’artigianato sardo. Giulio Iacchetti ha visitato alcuni laboratori artigiani ed è entrato in contatto con fabbri e tessitrici del paese – che è celebre per la tradizione del tappeto -, dialogando con loro per produrre dei manufatti in grado di celebrare una storia, un saper fare e allo stesso tempo creare qualcosa di nuovo. Capaci di parlare all’oggi, dialogare con la contemporaneità, uscire fuori dal conosciuto per innovare un linguaggio di lunga durata che a volte – troppo spesso – rischia di ripetersi in modo stanco. Il progetto di Iacchetti – due volte Compasso d’oro, esposto anche al Moma di New York – si inserisce in una linea di tendenza di questi ultimi anni che ha visto il design internazionale entrare in contatto con l’artigianato locale per alcuni progetti di rinnovamento profondo, di scambio e contaminazione. Possiamo parlare quasi di una “scena”: artigiani e designer che procedono per la loro strada autonoma ma che allo stesso tempo condividono una ispirazione, un terreno comune, un humus: l’aspirazione di celebrare una tradizione gloriosa senza però limitarsi a essa. I casi sono numerosi e vedono protagonisti anche designer “non sardi”, come nel caso della cilena Paulina Herrera Letelier, Romina Pilloni (tedesca di origini sarde) o la coppia di Pretziada (lui milanese di origini sarde, lei newyorkese). Segno anche questo di una apertura, un confronto proficuo in grado di dare nuovi impulsi a un settore che può ambire a compere anche in mercati non strettamente locali e parlare a un pubblico internazionale.

Il caso di Pretziada è emblematico. Ivano Atzori e Kyre Chenven si sono trasferiti da New York nell’Isola. Hanno preso un vecchio furriadroxiu nella campagna di Santadi e lì hanno creato la loro casa, che è anche il quartier generale della loro attività. L’approccio all’artigianato sardo è innovativo. Periodicamente invitano designer di fama internazionale nell’Isola e li portano in giro a scoprire la cultura sarda, lasciandosi ispirare da archeologia, storia, tradizioni, cucina. Poi individuano un artigiano adatto a collaborare col designer facendo in modo che entrambi si mettano in gioco e scambino saperi e competenze, in modo che il progetto sia frutto di una interazione profonda. C’è lo “scannu” della designer Chiara Andreatti e dell’artigiano Pierpalo Mandis, gli attrezzi da camino disegnati da Ambroise Maggiar e realizzati dai Fratelli Argiolas. E poi un attaccapanni in ferro che richiama aspetti della tradizione rurale e pastorale dell’Isola e ha diversi elementi che si ispirano a elementi naturali e paesaggistici (lo ha disegnato Valentina Cameranesi insieme ai Fratelli Argiolas). Ogni progetto deve portare la firma del territorio, una impronta fortemente mediterranea. E attraverso gli oggetti cercano di raccontare la storia dell’Isola a livello internazionale, veicolarne saperi, tradizioni e bellezza. Tra le collaborazioni sono da citare anche quelli con due artisti della ceramica. Walter Usai di Assemini, che ormai da anni si è messo in gioco producendo progetti innovativi, e la giovane artigiana Maria Piras, che va a ritroso a rileggere addirittura la tradizione nuragica, però rivisitata in chiave contemporanea. A Santadi c’è un’altra coppia di designer, Martina Silli e Bruno Savona, che hanno deciso di stabilirsi nel Sulcis per portare avanti un progetto multidisciplinare – Heart Studio – a cavallo tra grafica, illustrazione e design. Non solo producono artwork in grado di riscrivere le icone arcaiche sarde presenti nei tappeti, ma hanno iniziato anche a produrre oggetti come la peculiare brocca da sposa disegnata e decorata da Martina – con riferimenti ai pani tradizionali dell’Isola – su base creata da Walter Usai.

Una delle iniziatrici di questo percorso di riscrittura dell’artigianato sardo è la designer cagliaritana Carolina Melis. Nei suoi tappeti, arazzi e cuscini troviamo pattern geometrici e floreali ed elementi iconici della tradizione decorativa sarda, frutto di uno studio approfondito della storia artigianale dei singoli territori dove ha lavorato: Samugheo, Mogoro, Ulassai, Nule. Così come lo sono le tecniche, come la tessitura a grani, sos pibiones, e le materie scelte, pregiatissime, dalla lana di pecora al lino. Anche la designer Romina Pilloni – nata e cresciuta in Germania da padre sardo – si inserisce in una linea di riscoperta di forme e icone arcaiche, ridisegnate in chiave contemporanea mantenendo però un legame forte con la tradizione, che rispetta e al contempo rinnova. Romina si è innamorata dell’Isola frequentandola d’estate, osservando pezzi di artigianato nella casa della nonna. Un legame affettivo che poi si è tradotto in una rilettura di quelle tradizioni – ha lavorato a Mogoro, distretto importante del tessile nell’Isola – con l’obiettivo però di “svecchiarle”, di proporre qualcosa di nuovo.

Un lavoro che porta avanti anche Paulina Herrera Leterlier, cilena di nascita, cagliaritana d’adozione, che insieme all’azienda tessile di Samugheo, Mariantonia Urru, ha lavorato su un profondo rinnovamento del tappeto sardo. La designer fa un’operazione diversa: non recupera icone, pattern e motivi del passato ma cerca di raccontare paesaggio e tradizioni dell’Isola attraverso dei lavori più astratti, in qualche modo assimilabili all’arte contemporanea. In uno dei primi lavori realizzati insieme a Mariantonia Urru, ad esempio, ha disegnato dei cactus che rappresentano una linea divisoria all’interno del territorio sardo, un elemento naturale del nostro paesaggio che si pone come confine tra uno spazio privato e l’esterno. La stessa azienda di Samugheo rappresenta una delle eccellenze di questo processo di rinnovamento profondo dell’artigianato tessile, all’interno di un territorio in cui il telaio è elemento familiare, quasi imprescindibile. Dalle prime collaborazioni con Patricia Urquiola ai lavori con Carolina Melis, Pretziada, Stefano Asili e moltissimi altri designer, Mariantonia Urru ha proposto dei manufatti che rappresentano un nuovo standard della produzione di tappeti in Sardegna, in grado di varcare i confini dell’Isola e puntare diritti a un pubblico internazionale, senza mai dimenticare le proprie radici. Quello che fa anche Bam Design a Nuoro: le origini risalgono ai primi del Novecento a Orani, con una prima bottega artigiana, e poi andata avanti nella città barbaricina per generazioni. I due fratelli eredi di quella storia hanno studiato design a Milano e incarnano una nuova generazione di artigiani in grado di unire saper fare e cultura del progetto. O anche Mustras, collettivo di architetti e designer che lavora in laboratori sparsi nell’Isola per creare prototipi in grado di innovare una tradizione (siano cesti, mobili o tappeti).

Le cose si muovono anche a un livello più istituzionale. Come nel caso del progetto Artijanus Artijanas, promosso dalla Fondazione di Sardegna con la direzione artistica della Triennale di Milano guidata dall’architetto Stefano Boeri e la collaborazione della Fondazione Cologni: una partnership prestigiosa in grado di dar luce alle produzioni dell’Isola, con l’obiettivo di mettere a confronto artigiani locali – nella prima edizione Terrapintada di Bitti e Tessile Medusa di Samugheo – con designer di chiara fama – Daniele Bortotto e Giorgia Zanellato per la ceramica e Serena Confalonieri per la tessitura. Il nome del progetto è Tesori viventi, “Inteso anche come riscoperta e valorizzazione di quel patrimonio di conoscenze, competenze, codici stilistici – spiega Roberta Morittu, designer e cocuratrice dell’iniziativa -, che è conservato dalle generazioni passate e che è rivitalizzato, ibridato dalle generazioni presenti. Se questo dialogo non viene preservato e non si riconosce come la linfa vitale è difficile fare passi avanti”.

Andrea Tramonte

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