“La Bibbia” di John Huston 50 anni fa sul monte Corrasi

Tutti si ricordano di quando John Huston mise piede ad Oliena cinquant’anni fa, anche perché di quelle settimane passate a girare sul Corrasi è rimasta una traccia indelebile: la strada. Già, perché la carreggiata attuale che sale su sino in cima deriva proprio dagli sbancamenti effettuati per permettere alla produzione di far passare i camion per allestire il set. D’altronde, quando c’era di mezzo un produttore come Dino de Laurentiis, non si badava a spese e non c’era ostacolo che non poteva essere superato. Potenza di un modo di fare cinema dei bei tempi che furono, quando in pieno boom economico da “Dolce vita” gli americani venivano a “sciacquar le pellicole” sul Tevere, sfornando kolossal “bigger than life”, dove tutto era sempre più grande, sempre più imponente. Anche gli italiani però non erano da meno: appena tre anni prima Goffredo Lombardo per “Il gattopardo” aveva fatto restaurare a proprie spese la villa di Boscoreale in soli 24 giorni, cedendo alla manie di perfezionismo di Luchino Visconti.

BIBLE, THE

Stavolta però si stava girando nientemeno che “La Bibbia”, o meglio i primi ventidue capitoli del libro della Genesi. Certo rimane ancora curioso il perché Huston, autore di titoli quali “Il mistero del falco”, “Giungla d’asfalto” e “Il tesoro della Sierra Madre” con Humphrey Bogart, abbia accettato di dirigere un filmone ingombrante di questo tipo, lontano anni luce dal suo modo di fare cinema. A Oliena, John Huston arrivò per chiudere le riprese dedicate al sacrificio di Isacco, dopo aver praticamente percorso mezzo mondo, isole Galapagos comprese, più ovviamente gli studios di Dinocittà situati lungo la Pontina, dove aveva ricostruito l’arca di Noè in versione 1:1. Così grazie alle magie effimere ma seducenti della Settima arte, le montagne del Gennargentu si trasformarono in una Mesopotamia sui generis e il paese della Barbagia fu invaso per parecchie settimane da camion, maestranze, comparse, costumi, luci e ciak, riempiendo tutti gli alberghi e ristoranti della zona. Un’enormità, anche perché De Laurentiis aveva piazzato ben 18 milioni di dollari dell’epoca per portare avanti questo progetto folle, covato per lunghi anni tra infinite traversie di pre-produzione.

L’idea iniziale era, infatti, quella di girare la Bibbia per intero, affidandola a vari registi di grosso calibro tra cui Federico Fellini, Akira Kurosawa, per poi arrivare a Robert Bresson, Orson Welles e Luchino Visconti. Uno dopo l’altro, per ragioni differenti, abbandonarono l’impresa, così si arrivò a Huston che accettò, ma rimise mano a tutto quanto fatto sino ad allora, il budget lo permetteva in fondo. A montaggio ultimato – di ben 2 ore e 44 -, l’opera risultò quantomeno sbilenca, perché le intenzioni di dare alla narrazione un respiro sacro e solenne mal si amalgamarono con la razionalità del regista americano. Ateo convinto, si ritagliò anche il ruolo di un Noè sornione e volutamente sopra le righe, impegnato a far di conto mentre carica gli animali sull’arca. Poi con un coraggio che sfiora l’incoscienza mise in piedi un miscasting stracult, con un Adamo simile a James Dean, una Eva che pareva appena arrivata dai locali fumosi della “swinging London”, più un paio di star sparse a coprire i ruoli più disparati: dall’ex villain di “Ben Hur”, Stephen Boyd a Peter O’Toole, all’apice del divismo dopo “Lawrence d’Arabia” che per l’occasione si moltiplica nei tre angeli, sino a due debuttanti che faranno molta strada: Richard Harris e Franco Nero, nei ruoli di Caino e Abele. Le grane peggiori gliele diede la coppia formata da George C. Scott e Ava Gardner, scelti per interpretare Abramo e Sara. All’epoca marito e moglie anche nella realtà, movimentarono le notti romane con la loro relazione intrisa di alcol e botte, per la gioia dei paparazzi di via Veneto e dei giornali scandalistici di allora. In Sardegna, invece, tutto andò liscio come l’olio con l’ultimo ciak che prevedeva il lancio di centinaia di colombi a suggellare, come prevedeva lo script, la pace tra il Signore e Abramo. Una volta liberati, i volatili si dispersero nel territorio, andando poi a formare una vera e propria “colonia” tutt’ora presente ad Oliena tra le vecchie abitazioni ormai disabitate e le soffitte del collegio dei Gesuiti.johnhuston

Al botteghino “La Bibbia” si piazzò al terzo posto degli incassi dell’anno 1966/67 con oltre 3 miliardi di lire, circa più di 11 milioni di euro di oggi, subito dopo “Il buono, il brutto e il cattivo”, sconfitta però dall’altro kolossal dell’anno: “Il dottor Zivago” (6 miliardi di lire che equivalgono ora a 55 milioni di euro). Perché battere una storia d’amor fou come quella, ambientata nella Russia rivoluzionaria, con gli occhioni languidi di Omar Sharif e Julie Christie, era impossibile. Anche per Dio.

Francesco Bellu

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