“Cantiere Opera”, Elio porta in scena a Sassari i compositori ‘al rovescio’

Prendere il “bel canto all’italiana”, smontarlo e vedere l’effetto che fa. È un cantiere al contrario quello allestito da Elio e Francesco Micheli, perché invece di costruire si divertono a fare l’esatto contrario in “Cantiere Opera”, andato in scena sabato al Verdi di Sassari all’interno della rassegna “Musicomica” curata dalla cooperativa Teatro e/o Musica. Un lavoro al rovescio che punta a far scoprire il melodramma cantato a chi non solo non lo conosce, ma anzi è convinto che sia materia d’antiquariato, vecchia e un po’ stantia. Per farlo usano l’arma più impensabile: la risata, anzi meglio, la parodia; nel suo senso più letterale di controcanto sovvertitore delle regole. Un’anarchia ben intuibile sin dall’inizio dello spettacolo che parte non dal palcoscenico, come sarebbe più logico, ma dalla platea. Francesco Micheli si muove, infatti, tra le poltroncine in mezzo al pubblico, evidenziando così l’artificiosità della messa in scena per portare senza troppi preamboli lo spettatore all’interno dello show. Sarà lui a fare da guida e da narratore, ponte sospeso tra la scena e chi guarda, pronto a coinvolgere e soprattutto a tentare di gestire la vulcanica presenza di Elio che si cala, parrucchino incluso, nei panni di Gioachino Rossini. “Scritto con una ‘c’” come raccomanda sin dal principio mentre si staglia sornione sopra il piedistallo dopo aver cantato “Figaro qua, Figaro laaa”, ovvero l’aria più famosa de “Il barbiere di Siviglia” che farà da fil rouge a tutta la serata.

A Sassari è stata, infatti, presentata una parte del progetto “Cantiere Opera” che comprende ben sei compositori – oltre a Rossini ci sono Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini e Nicola Campogrande – che scandaglia non solo la produzione di questi grandi autori ma anche la loro umanità e le storie che animano i personaggi che hanno creato. Nel caso del musicista di Pesaro è una corsa che segue volutamente il tipico movimento del ‘crescendo rossiniano’ di un uomo che ha accelerato le tappe nella vita come nell’arte facendo della velocità la propria ragion d’essere: “Quanti anni ha signor Rossini?” chiede Micheli; “14” risponde Elio, “Anzi – ribatte – ora ne ho 24”. Sono due numeri non a caso, visto che proprio a 14 anni, da vero enfant prodige, compone la sua prima opera, ‘Demetrio e Polibio’, e a 24 è la volta de ‘Il barbiere di Siviglia’ uno dei suoi capolavori. Poi a 37, inspiegabilmente si ritira dalle scene, compone solo per se stesso e si gode il resto dell’esistenza tra la passione dell’alta cucina e delle belle donne. Genio e sregolatezza si direbbe oggi, in cui il ‘gran ritiro’ viene sublimato con un bel piatto di spaghetti.

In mezzo c’è ovviamente il cantiere d’opera di cui si è fatto cenno in precedenza, quello del ‘Barbiere’ naturalmente, che viene decostruito mano a mano grazie a Elio-Rossini che diventa i personaggi stessi dell’opera rimanendo però allo stesso tempo Elio. Esemplare in questo senso è il momento in cui, nelle vesti del cattivo Don Bartolo, spiega il perché della sua malvagità, raccontando il trauma insuperato di non essere stato invitato alla ‘festa delle medie’. E qui parte la parodia di ‘Tapparella’ rivisitata in chiave operistica come ‘Persiana’: “Ti ricordi che meraviglia la festa delle medie; tu non vieni. Non importa sai avevo judo, ma se serve vi porto gli spartiti, così potrete ballare i minuetti. Porta pure ma non entri”. Ad accompagnarlo al pianoforte è Simone Soldati, mentre la bella Rosina è interpretata con piglio ironico e abito rosso fuoco da femme fatale dal soprano Laura Macri.

In chiusura risuona però l’interrogativo: chi era Rossini veramente? Le note de ‘La gazza ladra’ insieme a quelle dell’overtoure del ‘Guglielmo Tell’ azzardano un paragone funambolico che l’occhio cerchiato di nero di Alex De Large di ‘Arancia meccanica’ chiariscono in un baleno: è lo Stanley Kubrick della musica. Li accomuna la stessa ipocondria, la stessa genialità precoce, gli stati umorali e l’inseguire la perfezione a tutti i costi per raccontare l’ambiguità dell’uomo. Così sullo sfondo del palco si muovono sprazzi dei capolavori del regista americano: da ‘Lolita’ a ‘Orizzonti di gloria’, passando per ‘Barry Lyndon’, ‘Full metal jacket’, ‘Spartacus’, ‘2001 Odissea nello spazio’ e ‘Eyes wide shut’. In un rutilante crescendo rossiniano, ovviamente.
Francesco Bellu

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