Alla Cineteca di Cagliari fino a marzo la rassegna su Faenza, “regista scomodo”

Al via da martedì 31 gennaio, alla Cineteca Sarda di Cagliari, alle ore 20, la rassegna cinematografica dedicata al regista Roberto Faenza (“Roberto Faenza, contaminazioni tra cinema e letteratura”). Organizzata dall’ “Associazione Alambicco” con il sostegno della Regione Sardegna e con il supporto della Società Umanitaria-Cineteca Sarda, dell'”Associazione La Macchina Cinema”, del Cineclub Fedic di Cagliari, della FICC nazionale e regionale, la manifestazione si snoderà fino al prossimo 18 marzo, quando nel Teatro Comunale di Elmas, a Faenza sarà attribuito il premio alla carriera e verrà omaggiato dal musicista Romeo Scaccia che terrà un concerto per piano solo reinterpretando le colonne sonore di alcuni suoi film.

Roberto Faenza ha un posto particolare nel panorama del cinema italiano, un autore difficilmente incasellabile, il quale ha percorso una carriera complessa, punteggiata da film assai differenti, sempre marcati da una professionalità eccellente, spesso sorprendendo i suoi fan o i suoi detrattori. Il libro a lui dedicato da Ignazio Senatore, che verrà presentato durante la rassegna (il 17 marzo alle 18,30) lo definisce “regista scomodo“, un attributo il quale potrebbe essere superficiale, se non coincidesse con scelte, a volte, in controtendenza nel panorama del nostro cinema. Ama la sfida, Faenza, anche nell’ultima sua opera: “La verità sta in cielo” su uno dei misteri maggiormente intricati e insabbiati del nostro paese, ovvero la scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazza cittadina del Vaticano uscita dalla chiesa di Sant’Apollinare, a Roma, nel 1983, dopo una lezione di musica e mai ritrovata, mentre, nel corso dei decenni, servizi segreti deviati o no di varie nazioni, finte spie, sciacalli, terroristi, omertosi di tutti generi ne hanno fatto solo carne da macello per un’informazione errata o deviata. Non è stato un successo questo film, ma sicuramente ci voleva il coraggio di Faenza per chiedere attenzione sul lato oscuro della cronaca recente e non farne un banale thriller, ma una riflessione sugli assurdi, inestricabili misteri di Italia, che hanno la capacità di riflettersi sulle famiglie coinvolte e devastate da quegli avvenimenti.

Il lungometraggio di apertura della rassegna, invece, sarà la sua opera prima “Escalation”, la quale ci riporta allo sperimentalismo cinico degli anni Sessanta (la pellicola è del 1968), in maniera tale che l’autore fu considerato, insieme a Bertolucci, Bellocchio e altri esordienti di quegli anni, un “ribelle”, un estremista della macchina da presa. Se “Escalation”, rivisto oggi, morde poco, è interessante come Faenza irrida e attacchi il capitalismo con una storia sferzante e ironica. Semmai, maggiormente complessa la vicenda del suo “Forza Italia“, documentario del 1978, molto bello e originale, dove, attraverso immagini di repertorio, si fa a pezzi la classe dirigente dell’epoca. “Forza Italia” (introdotto da Antonio Padellaro e Gabriella Gallozzi il 4 febbraio insieme al più recente “Silvio forever”) ebbe la sfortuna di essere distribuito (stessa sorte toccò a Elio Petri con il suo coevo “Todo modo”) durante i giorni del sequestro Moro. Il film scomparve presto dalle sale e, solo dopo più di venti anni, verrà messo in vendita il DVD.

Se la cifra della rassegna, poi, è l’inferenza tra cinema e letteratura, nell’opera di Faenza il trattamento di libri anche importanti, ha uno spazio preciso e solido. Tra i film maggiormente riusciti in questo senso ricorderemo “I viceré” (2007), una coraggiosa trasposizione dal capolavoro di Federico De Roberto, che ebbe pure una più dilatata versione televisiva, un lungometraggio potente, poco compreso dalla critica, dove un attore “di genere” come Lando Buzzanca propone una prova superba e sorprendente. Ancora i riusciti “Marianna Ucria” (1997) dal romanzo di Dacia Maraini, “Sostiene Pereira” (1995) dal testo di Antonio Tabucchi con una grandiosa performance di Marcello Mastroianni o “L’amante perduto” (1999) da Abraham Yehoshua, per citarne alcuni. E se, a volte, il fascino del libro non arriva totalmente allo spettatore, come per esempio ne “I giorni dell’abbandono” (2005) tratto dal best seller di Elena Ferrante, rimane l’incisività delle interpretazioni e della impostazione estetica, sempre con un intenso interesse per i colori e la fotografia. Anche il bellissimo “Jona che visse nel ventre della balena” (uno dei film più riusciti e toccanti sulla Shoah, in questo caso, ricostruita attraverso lo sguardo di un bambino) trae il suo soggetto da un commovente racconto autobiografico “Anni d’infanzia” di Jona Oberski. Sempre da segnalare tra le opere migliori di Roberto Faenza, “Prendimi l’anima” che narra parte della biografia di Sabrina Spierlein e del suo rapporto paziente-allieva-amante con il grande psicanalista Carl Jung, ma pure la capacità della donna di rendersi autonoma sia da Jung sia da Freud per creare un pensiero psicopedagocico originale e costruirsi una vita serena, almeno fino al trionfo del nazismo, le conseguenze del quale portarono Sabrina e sua figlia a una morte violenta. Soprattutto se confrontato con il recente “A dangerous method” di David Cronenberg sullo stesso tema trattato in maniera mediocre, il film di Faenza rimane un punto di partenza per proseguire nella conoscenza di una delle psicanaliste più importanti e rimosse (fino almeno agli studi di Aldo Carotenuto) del Novecento.

Tutto quello che si vorrà, poi, sapere su Roberto Faenza lo potranno chiedere direttamente gli spettatori il 17 marzo, quando l’autore sarà presente in Cineteca in un incontro coordinato da Antonello Zanda.

Elisabetta Randaccio

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