Al confine tra paesaggio e astrazione, l’interiorità nell’arte di Salvatore Garau

Salvatore Garau è tra i più interessanti esponenti della scena artistica contemporanea italiana. Attivo dagli inizi degli anni Ottanta, ha connotato il proprio lavoro attraverso una sapiente gestione del colore che, nella sua pienezza, è protagonista dei paesaggi che abitano le sue opere: tele di grande e medio formato, testimoni di una traccia generata dall’uomo attraverso il suo movimento, spazio di gestualità e di una vitalità prorompente.

La pittura di Garau non è mediata né vuole aderire a forme stilistiche e schemi compositivi regolari.
Essa è colta nella sua dimensione più primigenia, spontanea e autentica, che attinge ad una creatività istintiva e spregiudicata, espressione dell’animo dell’artista. Nei suoi lavori, che abitano quel confine tra paesaggio e astrazione, la visione interiore è proiettata all’esterno attraverso una sapiente intuizione luministica. Il colore, svincolato da ogni riferimento naturalistico, si fa pura modulazione di luce ed è usato in totale libertà: le pennellate, ampie e potenti, emergono dalla tela manifestandosi in drammatici effetti cromatici, vivi di un’intima sacralità. “La sensazione è quella di una certa solennità, potenza, gravità e al contempo anche di liberazione, di euforia, legati al sentimento della sconfinatezza.” ha scritto Lorand Hegyi, direttore del museo d’arte moderna di Saint-Etienne.

Se talvolta l’artista ci guida alla scoperta di un paesaggio interiore, accompagnandoci con riferimenti prospettici, in altre scene essi scompaiono, costringendoci ad un viaggio più profondo. Le sue opere, di forte impatto emotivo, sono intrise di un’energia uroborica che le trasforma incessantemente. Ad essa corrisponde specularmente la natura umana, che non è arida razionalità, bensì un tumulto di sentimento, istinto, passione. Il linguaggio pittorico di Garau si esprime attraverso una relazione che coinvolge l’osservatore e il dipinto. I cromatismi, caratterizzati dall’uso di colori forti e contrastanti, sono un elemento di attrazione per lo spettatore, il quale viene imprigionato nella composizione e indotto ad un viaggio all’interno della creazione stessa. “Non c’è differenza tra grandi e piccole superfici se non per la fisicità nell’atto del dipingerle. Su una grande tela si muove tutto il corpo, la schiena dev’essere forte, i movimenti veloci e i muscoli agili. Su una piccola superficie sono seduto e solo le mani compiono i gesti. Il pensiero dello spazio che rimbomba in testa è lo stesso: un uguale riverbero dell’immenso, infinito anche nel piccolo”.

Abbiamo rivolto a Garau qualche domanda per conoscere meglio l’artista ed i suoi progetti futuri.

Nel suo percorso si è dedicato alla musica, alla pittura, al cinema. Nelle diverse espressioni artistiche sente di nutrirsi della stessa energia creativa o esse rappresentano diversi aspetti del suo abitare l’arte?
Non so più quale forma d’arte preferisco, ormai lo posso affermare con certezza. L’impegno nel creare per me è a 360 gradi sempre. Nessuna forma artistica della quale mi nutro potrebbe esistere senza un totale coinvolgimento, e per totale intendo l’intera persona fisica e spirituale. Non riesco a creare concedendo solo una parte di me. Le sequenze di un doc.film sono come una pittura, una tela come una partitura musicale. Sono solo diversi i mezzi utilizzati, il desiderio o la meraviglia che vorrei creare hanno sempre lo stesso peso.

Diverse ricerche, dall’inizio dell’Ottocento, cercano di attribuire un colore ai differenti suoni. Lo studio delle sinestesie trova applicazione nella sua arte, così diretta e apparentemente pulsionale?
Ciò che apparentemente potrebbe apparire pulsionale, in realtà nasconde sempre una razionalità sconosciuta, o meglio, è una razionalità conosciuta nell’inconscio che ha proprie regole quasi sempre difficili da decifrare. Certo, se in un determinato momento, per esempio, ho cominciato a usare il viola, potrei dire sia stata un’esigenza mistica, un tendere al sacro, un “sentire” le trombe di Gabrielli o l’organo di Bach, ma anche questa affermazione sento sia riduttiva rispetto alla ricerca, avida, in cui certe volte mi immergo. Tutte le cose sono relazionate tra loro ma siamo noi a creare una “collaborazione intrinseca”. I colori sono suoni, sono d’accordo, entriamo però in un campo eccessivamente soggettivo. Un esempio. Un nero profondo in un certo momento della nostra vita avrà un suono cupo, basso, in un altro momento sarà quasi totalmente silenzioso, o ancora, in altre nostre condizioni sarà carico di ultrasuoni impercettibili. Siamo noi a essere colore e suono.

Quando ha scelto di dedicarsi prevalentemente all’arte visiva?
Appena diplomato all’Istituto d’arte alla quale è seguita L’Accademia di Belle Arti a Firenze, Ma in modo deciso i primi anni Ottanta dopo lo scioglimento degli Stormy Six.

Trova, nella sua infanzia, radici del suo percorso attuale?
Direi proprio di sì. Nella mia infanzia costruivo i miei giochi (non mi venivano mai regalati). Organizzavo nel vasto cortile battaglie tra cavalleggeri e indiani che duravano anche tre giorni, costruivo i forti ai quali davo fuoco, era tutto reale. Senza rendermi conto già allora facevo la regia ai miei film immaginari.

Quali i progetti futuri?
Sto lavorando a una mostra itinerante nel mondo dal titolo Futuri Affreschi Italiani, mostra che comprenderà circa 33 tele di grandi dimensioni (sulle quali ho già girato un doc-thriller di 25 minuti, sì, proprio un thriller). Mostra che oltre ai musei vorrei esporre nelle chiese. Sto seguendo il docu-film La Tela che sta girando in tanti festival nel mondo. Ieri, per esempio, è arrivato l’invito da Chicago. In programma tanto altro che per ora preferirei non rivelare.

Gaia Dallera Ferrario
https://www.instagram.com/gaiafe/

Biografia essenziale dell’artista

Salvatore Garau nato a Santa Giusta, in provincia di Oristano, nel 1953, vive e lavora a Milano. La sua ricerca estetica trova nella musica dapprima il suo campo. Per anni membro degli Stormy Six, gruppo storico e fondamentale del panorama rock d’avanguardia italiano degli anni Settanta, è solo all’inizio del decennio successivo che Garau si dedica a tempo pieno alla ricerca visiva. È del 1984 la sua prima personale allo Studio Cannaviello di Milano cui seguiranno un gran numero di mostre presso le più note gallerie italiane (a Milano Gianferrari Arte Contemporanea nel 1993 e Studio Grossetti nel 1997). Importanti personali lo vedranno impegnato a Lugano, Losanna, Barcellona, San Francisco, Washington, Strasburgo, Londra…

Due presenze alla Biennale d’Arte di Venezia nel 2003 e 2011. negli ultimi anni ha tenuto personali nei musei di Saint-Etienne, Cordoba, Brasilia, San Paolo, Montevideo ecc… Nel 2017 ha scritto e diretto “La tela”, doc-film girato in un carcere di alta sicurezza con la fotografia di Fabio Olmi. Nel 2019 ha girato un doc-thriller sulle ultime opere “Futuri affreschi italiani”.

Numerose anche le acquisizioni di opere dell’artista che musei ed enti pubblici hanno effettuato, tra i quali ricordiamo il Museo d’Arte Moderna di Bologna, il PAC milanese, la Sala Parpalla di Valencia in Spagna, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Varese. La Fondazione Banco di Sardegna conserva un cospicuo numero di opere di grandi dimensioni. Opere dell’artista figurano in alcune delle collezioni private più prestigiose del mondo.

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