A Gavoi il ‘censimento dei radical chic’. Giordana: “Le elite servono al Paese”

Un professore partecipa a un talk show della televisione pubblica e durante la trasmissione gli sfugge una citazione di Spinoza. Il conduttore lo ferma subito e – quasi allarmato – lo rimbrotta dicendogli qualcosa tipo: questo è un programma per famiglie, non le consento di usare parole difficili. “Chi di giorno si spacca la schiena ha il diritto di rilassarsi e di non sentirsi inferiore”, dice. Sui social network si scatena l’inferno contro il professore: dal linciaggio sul web al suo assassinio il passo è brevissimo. Il clima che si respira nel Paese è pesante e tra gli intellettuali si scatena il panico. Nascondono libri, giacche di tweed e in generale tutti i segni esteriori del loro essere intellettuali, dissimulano alcune abitudini alimentari che potrebbero farli identificare (il consumo di cibi macrobiotici, ad esempio). Il Presidente del Consiglio istituisce un registro degli intellettuali, in apparenza per proteggerli, in realtà per schedarli, e fa istituire una Autorità per la semplificazione della lingua italiana in modo da eliminare parole troppo ridondanti e difficili. “Le emozioni sono facili, elementari. Se impari i trucchi le puoi governare, mentre i pensieri rimangono liberi, vanno dove dicono loro e complicano le cose”, sostiene il ministro.

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Questo scenario dispotico – distopico fino a un certo punto – è raccontato nell’ultimo romanzo di Giacomo Papi, “Il censimento dei radical chic” (Feltrinelli), presentato ieri a Gavoi. Il libro è diventato anche lo spunto per un ciclo di incontri all’interno del festival L’Isola delle storie intitolato “Il censimento dei radical chic”, appunto: un modo per provare a riflettere sul perché ad un certo punto nel nostro Paese – ma in Occidente in generale – la cultura da valore “si sia trasformata in marchio d’infamia, in segno di ipocrisia, mentre l’ignoranza in segno di autenticità”. Dove chi si è formato con impegno e fatica nel corso di anni viene visto con sospetto e il paradigmatico “questo lo dice lei” è arrivato fino al governo del paese, istituzionalizzando un sentimento diffuso, contribuendo ad alimentarlo in una spirale di cui al momento non si vede la fine. Papi affronta il tema all’interno del suo romanzo giocando con un registro umoristico e satirico, esasperando in modo grottesco – eppure così incredibilmente familiare – i tratti dell’Italia contemporanea.

Protagonisti dell’incontro di ieri nel piazzale di Sant’Antriocu – affollatissimo, nonostante l’afa terribile di mezzogiorno – sono stati il regista Marco Tullio Giordana e il giornalista Lirio Abbate. “Oggi l’espressione radical chic viene appiccicata a qualsiasi cosa che possa avere a che fare con la cultura”, ha detto Papi. “Vado a vedere una presentazione al festival di Gavoi e divento ipso facto – espressione che andrebbe vietata, secondo la logica del ministro del mio romanzo – un radical chic”. “All’età di cinque anni fui cacciato da tavola da mio padre per aver sbagliato un congiuntivo”, ha raccontato Giordana. “Ma come, mi disse, tu che hai il privilegio di andare a scuola sbagli un congiuntivo? A letto senza mangiare. Forse questo imprinting di attenzione enorme alla lingua mi ha intimidito a tal punto da farmi scegliere il cinema, con il suo tempo all’indicativo presente”.

Il regista – 69 anni a ottobre – respinge l’etichetta. “La aborrisco anche per ragioni familiari. Mio nonno all’inizio del Novecento faceva parte del Partito radicale italiano, un movimento conservatore e liberale. Devo deludere anzi chi pensa che sono un estremista di sinistra. Ho votato repubblicano, un partito che poteva essere contenuto in una cabina telefonica”. Giordana rivendica il ruolo della cultura (“politica e cultura sono potenze nemiche, bisogna ricordarselo sempre: la cultura deve essere critica, oppositiva”) e quella del dialogo, del confronto tra opposte fazioni. “Guai a chi rinuncia a parlare con chi la pensa in modo diverso”, dice. “Non per catechizzare: le due parti si trasmettono qualcosa, se invece non ci si parla è chiaro che si consolidano le contrapposizioni, che poi vengono alimentate in modo artificiale”. E rivendica il ruolo delle elite: “Sono indispensabili, guai a un paese che non le coltiva”. Rispetto all’espressione “parlare alla pancia del paese”, Papi ha ribaltato il concetto: “Chi lo dice considera le persone solo “pancia”. È l’atteggiamento più elitario che esista, pensare che il popolo sia così bestiale da farlo cibare solo di cibo per cani”. Abbate invece ha raccontato alcuni esempi positivi di adolescenti che sembrano essere in grado di rappresentare una speranza per il futuro, per cultura e lucidità di pensiero. “Un ragazzo di 15 anni, Simone, pochi mesi fa ha affrontato a Torre Mauro a Roma alcuni cinquantenni di CasaPound che dicevano no a una famiglia Rom a cui avevano dato legittimamente una casa. Il ragazzo ha espresso un concetto chiarissimo, espresso benissimo: se si chiede sicurezza si chiede per tutti, ha detto, e tutti dobbiamo stare al sicuro e rispettare le regole. Forse la scuola in questi anni ha seminato bene, nonostante i sacrifici degli insegnanti, mortificati e bistrattati”.

La sedicesima edizione del festival di Gavoi si è chiusa ieri. “Silenziosamente, senza proclami, senza fanfare, con la forza della sostanza, misurando il peso delle parole, prendendosi la responsabilità delle proposte, declinando in purezza il concetto di Festival Letterario, anche la sedicesima è andata. Ringrazio le migliaia di lettori che ci hanno privilegiato con la loro presenza”, ha detto Marcello Fois facendo un bilancio dell’evento. Circa 60 ospiti per oltre 80 appuntamenti – tra laboratori, reading, incontri, spettacoli, mostre, proiezioni – che, come oramai accade da sedici anni a questa parte, hanno reso per 4 giorni Gavoi, piccolo paese di poco più di 2.500 abitanti nel cuore della Barbagia, il fulcro di uno degli appuntamenti imperdibili dell’estate letteraria dell’Isola.

Andrea Tramonte

 

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