A Tula il paese ricompra la casa all’asta. Il sindaco: “La società sia più solidale”

“Il risultato è della comunità, non del sindaco”. Il primo cittadino di Tula Gino Satta ci tiene a sottolinearlo, specie in un momento di forte esposizione mediatica “personale” dovuta al caso della casa finita all’asta riacquistata grazie alla mobilitazione dell’intero paese. Satta sembra quasi sorpreso del clamore che si è creato intorno alla vicenda. La storia ha conquistato l’opinione pubblica e ha portato il piccolo paese del Sassarese fino alla prima serata in Rai, dove il sindaco la settimana scorsa ha raccontato la vicenda a Le parole della settimana di Massimo Gramellini. Una storia che ha quasi fatto parlare di un “modello Tula”, un luogo dove il senso di solidarietà è condiviso e i legami comunitari sono forti al punto da non accettare di lasciare qualcuno indietro, che arranca in difficoltà. Il paese ha pure vinto un premio, conferitogli dall’Istituto Scudi di San Martino a Firenze che ogni anno celebra i migliori gesti solidali in Italia.

La vicenda è nota: un operaio attraversa un periodo di difficoltà economica e perde il lavoro, tanto da non riuscire più a pagare le rate del mutuo. La casa viene messa all’asta e la famiglia rischia lo sfratto. Si rivolge al sindaco, suo amico di infanzia, il quale si mobilita per aiutarlo. Coinvolge le associazioni del paese che si occupano di volontariato e solidarietà, chiede al giudice un po’ di tempo per iniziare una raccolta fondi che coinvolge l’intero paese. Alla fine la cifra che serve per acquistare la casa all’asta viene raggiunta: 27mila euro. L’abitazione torna alla famiglia, che ora continua a vivere a Tula e riesce ad andare avanti dignitosamente. “E questo grazie ai miei concittadini, che hanno un buon cuore”, dice Satta.

In effetti la comunità si è dimostrata particolarmente propensa a creare una rete di solidarietà per chi si trova in difficoltà.

Il terreno è fertile e sapevamo che avremmo ottenuto un riscontro positivo. Già in occasione del disastro di Amatrice la comunità si era mobilitata, organizzando una cena in un terreno di proprietà del Comune a favore dei terremotati. Abbiamo cucinato gnocchetti e spezzatino e racimolato undicimila euro. I nostri cittadini son sensibili.

Uno dei temi fondamentali delle nostre società è quello delle diseguaglianze e dell’aumento della povertà. Organizzare reti di protezione “dal basso”, locali, può essere uno degli strumenti per dare una mano a chi sta peggio?

Aiuta ma non può bastare. È chiaro che non è questo il modo di risolvere il problema delle persone che si trovano in difficoltà. La cifra era abbordabile. Di fronte alla situazione estrema di persone che rischiano di perdere la casa, ci vorrebbero degli strumenti normativi diversi. Non è molto giusto far andar via da casa persone che hanno pagato l’80 per cento del mutuo e che si trovano, a un certo punto, impossibilitate a far fronte all’impegno.

Secondo lei cosa servirebbe?

Le comunità si aiutano però è fondamentale che si riduca la necessità iniziative di questo genere. Rimanendo all’esempio della casa: se si tratta di una esecuzione su una seconda casa è un conto, ma sulla prima? Possibile che non si riesca a trovare degli strumenti per venire incontro a chi si trova senza lavoro all’improvviso? Serve una società più solidale nel suo complesso. Se una banca dice: riduciamo il personale e poi aumentiamo la remuneratività per gli azionisti, è un pungo allo stomaco. Il lavoro non può essere messo in secondo piano rispetto al valore del capitale. Prima il lavoro, l’etica dell’impresa, e poi tutto il resto.

Nella vicenda un po’ tutti hanno dato una mano. Anche il giudice ha dato il suo contributo.

Si è reso disponibile. Prima non si poteva procedere con lo sfratto in presenza dei minori, ora invece si può. Ho detto ai responsabili dei servizi sociali: ma non si può dire al giudice che ci stiamo muovendo per risolvere la situazione? Lui ha detto che era la prima volta che gli capitava una cosa del genere. Così ha spostato la data dell’asta e non ha dato mandato per lo sfratto. La famiglia è rimasta dentro casa. Rimandare l’asta a luglio, e allo stesso tempo consentire la permanenza della famiglia in casa, ci ha consentito di avere il tempo di mettere in campo le iniziative per salvare la situazione.

Ora la famiglia come sta?

Continua a vivere in paese. Il padre lavora nel settore agricolo e la madre fa lavori saltuari. Senza dover più pagare il mutuo riescono a barcamenarsi. Non è una situazione di agio ma vanno avanti come tante famiglie: con difficoltà ma tirando avanti. Il padre mi aveva detto che se fossero stati sfrattati sarebbero andati via in Svizzera. Sono contento che siano rimasti nel nostro paese, che soffre il problema dello spopolamento.

Quali sono le iniziative che il Comune mette in campo per sostenere le proprie famiglie?

Stiamo dando un aiuto a tutti quelli che hanno figli in età scolare, un bonus a partire già dalle elementari che si aggiunge a quello bebè, per tre anni, ai nuovi nati. Abbiamo aggiunto anche il bonus per chi va all’università e pure il premio di laurea. Cerchiamo di dare un aiuto alle famiglie che sostengono i figli a scuola. Puntiamo molto sul sostegno alla natalità e sull’importanza fondamentale dell’istruzione.

Andrea Tramonte

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