Falsi restauri in chiese dell’Oristanese. Centinaia di truffe, sgominata banda

Avvicinavano i sacerdoti o si presentavano nelle varie strutture ecclesiastiche e spacciandosi come esperti restauratori, mostrando anche false referenze e documentazione, riuscivano a farsi consegnare beni della Chiesa, soprattutto oggetti di argento, per restaurarli a prezzi bassi. Ma prima della riconsegna del materiale chiedevano il pagamento di una somma molto più alta. È quanto hanno scoperto i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio che, con il coordinamento della Procura di Oristano, hanno sgominato una banda di otto falsi restauratori che ha messo a segno dal 2017 circa un centinaio di truffe e di estorsioni nelle Chiese.

Sono stati definiti come “predoni professionali”. Si presentavano come veri esperti restauratori per carpire la fiducia delle loro vittime. Poi attraverso l’utilizzo di automezzi, schede e telefoni, falsa modulistica e persino di un locale dotato della strumentazione necessaria alla realizzazione di trattamenti galvanici, i ‘consociati’ simulavano l’attività di una solida e strutturata azienda di restauro.

Secondo gli investigatori, per giustificare il prezzo più alto del restauro, i malviventi dicevano che erano state necessarie complesse operazioni che avevano fatto lievitare i costi. In altre occasioni si sono addirittura fatti dare gioielli ed ex voto da fondere per utilizzare il metallo per il restauro. Se i parroci poi si rifiutavano di pagare o esprimevano perplessità, i falsi restauratori li minacciavano di non restituire più i beni e di informare la Curia o la soprintendenza del fatto che, senza autorizzazione, avevano consegnato loro beni culturali tutelati. Hanno agito soprattutto in Sardegna, ma secondo gli investigatori non è escluso che avessero già messo in piedi li stesso modus operandi in altre regioni d’Italia.

Le otto ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Oristano sono state notificate a Fontanella (Bergamo), Samarate (Varese), Bologna e Labico (Roma). Tre persone sono finite in carcere, due agli arresti domiciliari e altri tre sottoposte a all’obbligo di dimora nel Comune di residenza. Le persone coinvolte sono tutte di etnia rom e quattro di loro percepivano il reddito di cittadinanza.

Almeno cento le vittime in Sardegna. Le indagini sono partite nel 2017 dalla denuncia di un sacerdote di Cagliari, finito nel mirino della banda, e poi si sono allargate a tutto il territorio regionale. Quando gli indagati hanno capito che i carabinieri erano sulle loro tracce, hanno lasciato la Sardegna e si sono spostati in altre regioni d’Italia dove, secondo gli investigatori, avevano già iniziato ad organizzare altre truffe. Oggi nel corso delle perquisizioni sono stati recuperati oggetti provenienti da chiese sarde, ma anche di altre città Italiane. L’importo estorto è stato quantificato in diverse centinaia di migliaia di euro, a cui vanno sommati il valore dei pezzi mai restituiti e i danni provocati ai beni ‘lavorati’ dai falsi restauratori.

“Tutti gli oggetti sottoposti a questi lavori non autorizzati non possono definirsi in uno stato di conservazione migliore rispetto al momento precedente l’intervento, ma anzi scontano i danni di operazioni invasive – scrive il gip nell’ordinanza riportando le dichiarazioni degli esperti della Soprintendenza -. Gran parte dei manufatti hanno subito operazioni aggressive, invasive e scorrette sotto tutti i profili, che non hanno fatto altro che accelerare il loro processo di degrado e perdita di identità di bene culturale”.

Nonostante fossero nullatenenti gli indagati vivevano nel lusso e disponevano di ingenti somme di denaro. “Si è accertato che gli stessi sono assidui frequentatori di ristoranti e pizzerie – scrive il gip di Oristano nell’ordinanza -, locali nei quali sono soliti spendere somme anche molto consistenti e comunque tengono un tenore di vita più che agiato”. Nell’ambito dell’operazione è stato inoltre eseguito il sequestro preventivo di una villetta bifamiliare a Fontanella (BG), di un terreno edificabile ad Azzano Decimo (PN) e di tutti i conti correnti e le polizze di pegno intestati agli indagati.

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