Storia di una precaria: “A 42 anni senza diritti, cerco la dignità di un lavoro”

Elisabetta Caredda bussa alla porta della redazione che sono le 10 di mattina. La gonna nera in tinta col maglione, una blusa color cipria e il passo svelto di chi si è lasciata alle spalle anche l’ultimo dubbio. “Per lungo tempo ho creduto che fosse meglio non raccontarmi, perché quando sei disoccupato o precario – dice – ti consigliano di non esporti. Poi ho pensato che stare zitti è peggio: si diventa semmai complici di una società ingiusta. Di un mondo che ci vuole silenti, ciascuno chiuso nel proprio dolore. Essere senza lavoro non significa perdere la propria identità e umiltà di persona. Allora ho preso coraggio ed eccomi qua”. Elisabetta ha 42 anni e vive a Dolianova. Con la sua laurea in Biologia, un dottorato di ricerca in Neuroscienze e un master in Comunicazione pubblica e politica; un curriculum che fino a due decenni fa le sarebbe valso il posto fisso in un qualche policlinico. O anche un sogno più grande. “Oggi invece diventa un’impresa persino comprarsi un vestito. Io ho lavorato cinque mesi negli ultimi cinque anni”.

La storia di Elisabetta, “precaria senza diritti”, sembra a una svolta nel 2007, quando si mette a capo di un plotone di laureati che, come lei, aspira a entrare in una scuola di specializzazione per professioni sanitarie non mediche. In Sardegna ce ne sono sei, in veterinaria, microbiologia, genetica, farmacologia, scienze dell’alimentazione e patologia clinica. “Percorso quinquennale, ma senza borsa di studio, a differenza di quanto avviene con la specializzazione dei medici”. Elisabetta studia la normativa nazionale, apre un gruppo Facebook, raccoglie adesioni e ‘scomoda’ la politica. Sono gli anni della giunta Soru. “L’assessora alla Sanità era Nerina Dirindin – continua a raccontare -. La prima delusione ce la diede lei. Accettò di prevedere risorse anche per i veterinari”.

Nel frattempo gli ammessi alla scuola in Genetica, quella che voleva fare Elisabetta, sono una manciata. La biologa di Dolianova non rientra in quella rosa, ma nel giro di poco tempo si mette alla prova per un dottorato di ricerca nel dipartimento di Neuroscienze a Cagliari: esame superato, quel posto è suo. Stavolta con la borsa di studio. “Ma non potevo dimenticarmi degli altri, dei colleghi specializzandi nelle professioni sanitarie non mediche”. La biologa non li abbandona. “Spesso – racconta – sono in estreme difficoltà, non si può andare avanti senza un sostegno per affrontare il pagamento delle costose tasse universitarie. E io non ho mai smesso di essere altruista”.

La battaglia della biologa ha più fortuna nella legislatura successiva. Elisabetta si presenta in Consiglio regionale con una proposta legislativa per correggere “una discriminazione inaccettabile”. Contatta destra e sinistra, la biologa. “La vigilia di Ferragosto ho incontrato il capo dei gabinetto dell’assessore alla Sanità”. Che in quell’anno, nel 2009, era Antonello Liori. “La disponibilità della Giunta c’era”, ricorda. Il resto lo fa il gruppo del Pd che “per primo accolse la nostra proposta normativa, diventata poi bipartisan”. Elisabetta vince. “Con la Finanziaria 2009 vengono approvate le risorse che garantiscono 142 borse di studio per la specializzazione nelle professioni sanitarie non mediche. Tutti gli iscritti ottennero il necessario sostegno economico e e riuscirono a portare a termine la scuola”.

La tenacia di Elisabetta non passa inosservata. La nota anche l’allora vicecapogruppo del Pd in Consiglio regionale, Giampaolo Diana. “Che proprio in quei mesi – racconta ancora Elisabetta – si era candidato alla segreteria del Pd e mi chiese di collaborare alla comunicazione per le primarie di partito”. Dopo un anno, “si potrebbe dire di gavetta”, la biologa comincia a lavorare negli uffici del Palazzo, in via Roma a Cagliari. È settembre del 2009. Elisabetta ottiene anche il pass di accredito che rilascia il collegio dei questori, quasi una stelletta di merito. Almeno formale. Perché il compenso non è da sogno: sono 400 euro netti mensili per la solita prestazione occasionale che è impegno quotidiano. A marzo 2012 Elisabetta apre la partita Iva. Sono circa cento euro in più al mese, sempre netti. Ma per Elisabetta quel lavoro è gratificante, fatto non solo di compiti da segreteria semplice, ma anche tecnica. Vuol dire scrivere testi di legge, mozioni, interrogazioni, interpellanze. la biologa lavora per il gruppo del Pd sino alla fine della legislatura, a febbraio 2014.

“Quando leggono il mio curriculum, pensano che io sia una privilegiata, per aver lavorato in Consiglio regionale”. Ma Elisabetta non è tra quei collaboratori dei gruppi consiliari saliti, cinque anni prima, sull’ultimo treno del posto fisso, quando l’Assemblea stabilizza tutti i collaboratori reclutati dai partiti e per via legislativa e senza concorso trasforma i contratti privati in pubblici. “I quattro anni in Consiglio regionale non mi sono stati nemmeno riconosciuti come pubblico impiego, nono stante la Corte di Cassazione, con la sentenza 609 del 1999, abbia stabilito che i gruppi consiliari sono organi delle Regioni, e, pertanto, il rapporto di lavoro va considerato a tutti gli effetti di pubblico impiego, salvo diversi disposizioni della stessa Regione. Ma in Sardegna è stata abrogata con la legge finanziaria di maggio 2009, con la quale è stato consolidato il passaggio degli collaboratori dei gruppi nella pianta organica dell’Amministrazione”.

La biologa di Dolianova deve ricominciare da zero e oggi, a 42 anni, cerca ancora un’occupazione. “Dal 2014 ho lavorato cinque mesi. Io non capisco una cosa: si parla tanto di reinserimento lavorativo, ma noi precari siamo esclusi da ogni forma di welfare. Non abbiamo diritto alla cassaintegrazione né a ogni altra forma di ammortizzatore sociale. Facciamoci sentire, tutti insieme. Io, da parte mia, lancio un appello: ho voglia di non stare più a casa. Non è vita così, è resistenza. E il passo successivo è la perdita della dignità”.

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