Sedici anni dopo la strage di Nassiriya. “Quel giorno ho davvero visto il peggio”

Sono passati sedici anni da quando, il 12 novembre del 2003, un camion imbottito di esplosivo fece saltare in aria la base del contingente italiano a Nassiriya, in Iraq. Una strage: quel giorno morirono 19 italiani tra i quali dodici carabinieri, cinque soldati e due civili. Tra loro c’era anche il 32enne Silvio Olla maresciallo capo dell’Esercito, sardo di Sant’Antioco.  Il triste anniversario arriva dopo l’attacco, avvenuto pochi giorni fa, ai militari italiani a Kirkuk nel quale è rimasto ferito Paolo Piseddu paracadutista originario di Orroli.

“In questa giornata  – scrive in una nota il sottosegretario alla Difesa, Giulio Calvisi – ricordiamo tutti coloro che hanno sacrificato la vita al servizio dell’Italia e della comunità internazionale. Ai nostri caduti e alle loro famiglie rivolgiamo il nostro ringraziamento e la nostra riconoscenza per il lavoro svolto a servizio del nostro Paese e a tutela della pace, della sicurezza e della libertà”.

Silvio Olla

A distanza di tempo il ricordo di chi ha vissuto quei terribili momenti è ancora vivo. È il caso dell’ex colonnello Gianfranco Scalas in forza alla Brigata Sassari e sul campo nel 2003 a Nassiriya. Il 12 novembre di ogni anno quella ferita per lui si riapre: “Quel giorno ho visto il peggio che uno può vedere”. Così Scalas in un lungo messaggio in cui ricorda quei momenti immediatamente successivi alla strage: “Dopo 16 anni credo di avere il diritto di liberare un po’ l’animo e far capire cosa è avvenuto e come un militare vive certe esperienze. Sotto la divisa c’è un essere umano come tanti. Chi leggerà queste righe pensi solo al rispetto per chi innocente ha pagato con la vita la cultura della guerra e della insulsa ideologia del terrorismo”.

Gianfranco Scalas

Il ricordo dopo l’esplosione. Ero nella mia stanza dove stavo dando qualche indicazione, all’improvviso sento urla fuori, esco e il mio sguardo va nel cielo, quel sole alto offuscato da una nuvola nera che saliva dalla città di Nassirya, sento concitazione urla attraverso la radio. Pochi attimi di sconcerto: è successo qualcosa di grave. Chiamo la scorta e via come fulmini verso la città. Minuti interminabili mentre il mezzo attraversava la città. Arrivati sul ponte dell’Eufrate con calcinacci e pietre in ogni metro, ci fermammo. Scesi ci trovammo di fronte a quello che era il comando MSu ,chiamato Animal House. Gli occhi sbarrati di fronte al fumo nero e a quelle immagini. Un carretto distrutto e il povero asinello a terra massacrato, la folla che guardava immensa, si aprì per farmi passare in un repentino silenzio, con rispetto. Passai con i miei di scorta, sentivo la pietà e la pena degli iracheni passo dopo passo poi cercammo un punto per entrare nella struttura. Camminavo tra le macerie come un automa o uno zombie, pochi metri e mi fermai annicchilito riconoscendo chi era in terra. Mi sentii senza forze in pochi secondi.

[…]Ma non potevo andare via dovevo trovarli tutti i miei e costrinsi la scorta a seguirmi finché non vidi i miei due mezzi, o meglio ciò che erano stati ma non trovai nessuno dei miei. Riconobbi solo il regista Rolla. Arrivato a White Horse mi avviai verso l’ufficio di Stano, uscirono dall’ufficio tutti ma capirono penso dal mio stato, dal mio camminare, dal mio sguardo che fissava il nulla a terra che avevo visto il peggio che uno possa vedere. Stano mi guardò, lo guardai e muovevo la testa. Per fortuna scoppiai in un pianto carico…è stato un bene perchè un comandante ha altri compiti da assolvere, il primo era la telefonata a casa Olla e la feci purtroppo. Prosegui il mio lavoro per giorni e giorni senza dormire e mangiare per 4 consecutivi, tenendo a bada una quarantina di giornalisti di ogni parte. Ma il compito era da assolvere per chi non c’era più e rendere loro gli onori che meritano ancora dopo 16 anni. Mi riposai dopo circa 25 giorni, quando mi portarono in ambulanza in ospedale. Mi risvegliai con le carezze sui miei capelli delle crocerossine che per una notte intera si susseguirono al mio capezzale.

A.D

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