Sassari, città blindata: c’è il processo ai presunti terroristi Al Quaeda

Centinaia di transenne, tiratori scelti sui tetti dei palazzi intorno al palazzo di Giustizia, elicotteri che dall’alba e ancora strade chiuse alla circolazione. Sassari si sveglia oggi come una città in stato d’assedio, stretta da una zona rossa che circonda l’intero perimetro del tribunale. Questa mattina, nell’aula centrale, davanti alla Corte d’assise, prende il via il processo contro i presunti componenti della cellula di Al Qaeda arrestati lo scorso aprile a Olbia e in altre città della penisola. Questo processo, uno dei primi in Italia per quanto riguarda il terrorismo di matrice jihadista, è finito nella lista degli eventi sensibili dopo che i recenti fatti di Parigi hanno portato a un innalzamento delle misure di sicurezza in tutto il Paese. Nei giorni scorsi si è svolta a Sassari una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza in vita di questo importante appuntamento. Il prefetto ha deciso di non sottovalutare alcun tipo di rischio. Così il sindaco di Sassari, Nicola Sanna, ha chiuso al traffico il tratto di via Roma di fronte al tribunale mentre il presidente del tribunale, Pietro Fanile, ha diramato una circolare che riduce al minimo l’attività nelle aule, chiude i parcheggi interni, intensifica i controlli all’ingresso. Ma le misure di sicurezza riguardano tutta l’area del centro che circonda gli uffici giudiziari, con un dispiegamento di forze dell’ordine che non si vedeva dal febbraio 2012, in occasione della visita in città del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Il processo riguarda 11 cittadini pakistani che dovranno rispondere di reati di grosso peso: dalla strage al terrorismo internazionale, dall’immigrazione clandestina alla detenzione illegale di armi ed esplosivi. L’indagine fu avviata nel 2005 dopo la scoperta al porto di Olbia di un camion guidato da pakistani residenti in città che era stato segnalato per aver trasportato dell’esplosivo. La richiesta di rinvio a giudizio, dopo un lungo lavoro degli inquirenti, porta la firma dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, Danilo Tronci. Secondo Tronci i pakistani formavano una cellula che avrebbe pianificato diversi attentati terroristici in Pakistan. Tra questi, il sanguinoso attentato compiuto con un’autobomba nel mercato di Meena Bazar a Pashawar: una strage di uomini, donne e bambini messa a segno nel 2009, durante la visita ufficiale del segretario di Stato americano Hillary Clinton. Quell’attacco, stando alle accuse mosse dalla Dda di Cagliari sarebbe stato progettato a Olbia, nel covo di Wali Sultan Khan, un anonimo commerciante accusato d’essere a capo dell’organizzazione. La cellula avrebbe anche ipotizzato una serie di attentati in Italia, poi non eseguiti. Nel mirino, secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, era finito anche Papa Benedetto XVI.

Secondo il fascicolo dell’accusa, poi, la cellula avrebbe provveduto “ad alimentare la rete criminale destinando una parte del proprio impegno al fenomeno dell’introduzione illegale sul territorio nazionale di cittadini pachistani o afgani, che venivano anche destinati verso alcuni paesi del nord Europa”. In alcuni casi “facevano ricorso a contratti di lavoro con imprenditori compiacenti in modo da poter ottenere i visti di ingresso”. In altri casi percorrevano “la via dell’asilo politico facendo passare gli interessati, attraverso documenti falsi e attestazioni fraudolente, per vittime di persecuzioni etniche o religiose”. Ora a Sassari, con l’apertura del processo, ci sarà la possibilità di un confronto tra le tesi della Procura e i difensori degli imputati. L’ostacolo più grande, sul fronte giudiziario, non sono tanto i reati contestati ma la reperibilità di traduttori nella lingua degli arrestati: il pashtu è una lingua diffusa soltanto in Afghanistan e in Pakistan.

Michele Spanu
@MicheleSpanu84 on Twitter

Foto Roberto Pili

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