“Mio figlio non avrà più una vita perché un branco di giovani ha deciso di ucciderlo. E allora perché questi dovrebbero meritare di continuare a vivere e avere la possibilità di rifarsi una vita?”. Così sull’Unione Sarda Fabiola Balardi, la madre di Manuel Careddu, il 18enne di Macomer ucciso a colpi di piccozza e di badile la notte dell’11 settembre 2018 sulle sponde del lago Omodeo perché pretendeva il pagamento di una piccola partita di droghe leggere, circa 400 euro.
La donna parla dopo la sentenza del Gup di Oristano Silvia Palmas sui tre maggiorenni imputati dell’omicidio: ergastolo per Christian Fodde, 30 anni per Riccardo Carta e 16 anni e 8 mesi per Matteo Satta. “Loro sono giovani, è vero. E mio figlio? Aveva diciotto anni e loro gli hanno tolto la vita, lo hanno ucciso in modo brutale. Manuel non potrà mai più avere una vita. L’ergastolo non è la soluzione? E allora quale è? Lasciarli fuori? Così continuano a uccidere perché quelli sono così. A Carta è andata bene perché ha avuto trent’anni – ha aggiunto – Percorso di recupero non ce n’è per questi tre”.
Il giorno prima don Ettore Cannavera, fondatore della comunità di recupero La Collina, era intervenuto sulla vicenda in disaccordo con le pene inflitte dal giudice ai tre giovani. “L’ergastolo gli distrugge la vita, perché Christian porterà sempre quella etichetta. Nella nostra costituzione – aveva detto Cannavera – la parola ergastolo non esiste: l’articolo 27 parla di pena rieducativa. Che possibilità si può dare infliggendo a un ventenne il carcere a vita? In carcere si diventa delinquenti strutturati. Occorre andare oltre l’emotività e tenere la lucidità”.