L’INTERVISTA. Nuove scoperte a Mont’e Prama. Usai: “Basta fango sul nostro lavoro”

“Basta con le accuse, le allusioni, la diffidenza verso chi lavora a Mont’e Prama: è il momento di stare uniti e impegnarsi per lo studio e la valorizzazione del sito, evitiamo manifestazioni di astio e disprezzo che non fanno bene alla ricerca”. Alessandro Usai, archeologo, funzionario della Soprintendenza Archeologica e direttore scientifico dello scavo archeologico sulla collina di Cabras, risponde così alle accuse di cattiva gestione sul cantiere. Giusto ieri Mauro Pili, deputato sulcitano, è piombato sul sito in compagnia dei Carabinieri alla ricerca dei danni che una ruspa avrebbe provocato sui materiali dell’area: “Un misfatto di Stato contro la storia millenaria della Sardegna”, ha scritto  in una nota.

Usai ha invitato oggi i giornalisti sul sito per mostrare il ‘misfatto’: i segni ci sono, sono quelli, per la verità abbastanza inconsistenti, lasciati da un mezzo meccanico su alcuni lastroni in arenaria. “In archeologia, non solo in Sardegna ma in tutto il mondo, è normale l’utilizzo di mezzi meccanici in alcune situazioni di lavoro. Qui per esempio, nell’area funeraria, avevamo necessità di asportare una grande quantità di terra, circa 300 metri cubi, che negli anni Settanta era stata utilizzata per riempire la trincea scavata in quegli anni: si copre quanto si è scavato per proteggere il sito ed evitare i tombaroli in attesa di nuove campagne. Oggi dovevamo eliminare questo grosso strato di terra di riporto priva di qualsiasi valore stratigrafico, è ovvio che un lavoro di questo genere non può essere fatto a mano, perciò abbiamo usato un piccolo escavatore con benna a taglio piatto. E si, può succedere che qualche pietra finita in questo strato di riempimento venga scalfita, scheggiata, ma si tratta di qualcosa di trascurabile. Noi archeologi mettiamo in conto che non siamo esenti da qualche piccolo danno, fa parte del nostro lavoro. Questo non pregiudica il nostro obiettivo, che è quello lavorare con serietà e attenzione per documentare l’area e cercare di ricostruire la sua storia”.

Svelata la questione sul presunto danneggiamento Alessandro Usai racconta i risultati della campagna di scavo in corso. “Prima una precisazione doverosa: l’impresa emiliana ‘Archeosistemi’ che ha iniziato a lavorare qui dal 12 maggio scorso non ha rubato il lavoro a nessuno, come invece hanno sostenuto alcuni. Ha partecipato a un bando del Ministero per i Beni Culturali e ha vinto perché aveva i requisiti, nulla di strano. E ha assunto un archeologo, un rilevatore e quattro operai tutti sardi. Chiarito questo, ecco il risultato delle ultime settimane di lavoro: la necropoli nuragica completamente rimessa in luce, nuovi frammenti di statue, una struttura circolare in basalto“.

Sullo scavo in bella mostra le tombe dell’area funeraria: sono piccoli pozzetti scavati in verticale nel suolo, contenevano un defunto con il suo corredo, erano coperte da una grossa lastra in arenaria. In una di queste nel 1979 l’archeologo Carlo Tronchetti trovò un piccolo sigillo scaraboide dell’ottavo secolo avanti Cristo che servì per dare una datazione a tutta l’area. E i Giganti? “Intanto non sono giganti, noi li chiamiamo semplicemente statue perché non hanno dimensioni così eccezionali. Stiamo recuperando frammenti, ancora nessuna scultura intera: pezzi di testa, braccia, gambe, scudi, un arco, venerdì è stata recuperata una testa frammentaria che è stata portata al Museo di Cabras. Purtroppo non abbiamo ancora nessun elemento che ci fa capire come erano sistemate rispetto alle tombe, per ora pare certo che molto tempo fa sono state distrutte con violenza”.

Qualche suggerimento in più potrebbe arrivare da una struttura circolare in grossi blocchi di basalto distante poche decine di metri, la tecnica di costruzione è quella nuragica: “Non è un nuraghe perché sarebbe troppo piccolo, ed è troppo ampia per essere una capanna. Potrebbe essere un edificio di culto, magari collegato con le statue e con la necropoli? Non lo sappiamo ancora: ci stiamo impegnando per portare avanti il lavoro con la massima cura possibile, questo sito conserva ancora tanti segreti che non conosciamo. Ecco perché il mio appello all’unità, le polemiche sterili e le accuse non fanno bene alla ricerca scientifica”.

Francesca Mulas

 

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