Appena tre giorni fa, era lunedì, Giulio Angioni ci ha risposto al telefono dalla sua casa di Settimo San Pietro. La voce flebile, da persona sofferente, provata dalla malattia e dalle sedute di chemio che avevano segnato le feste natalizie. La risposta invece pronta e cordiale, come sempre. “Un’intervista per SardiniaPost? Certo che ho tempo, mi dica pure”.
Il tema erano i Giganti di Mont’e Prama, in particolare il modo in cui queste sculture nuragiche che hanno cambiato il modo di guardare la Sardegna antica: una statuaria di grandi dimensioni mai vista prima che ha rimesso tutto in discussione, che ha suscitato negli ambienti archeologici un dibattito senza precedenti e che si è affermata in pochi anni come simbolo identitario dell’Isola. I Giganti sono ormai un po’ ovunque: nelle copertine di libri e riviste, sui quotidiani internazionali, in trasmissioni tv, e c’è persino chi ne ha fatto un marchio commerciale per vendere abbigliamento, vini, gioielli. Attorno a questo si è sviluppata la conversazione che oggi, quando è giunta da poche ore la notizia della morte del grande scrittore e antropologo, proponiamo ai nostri lettori.
Perché tutti, dai politici agli intellettuali, dalle persone comuni agli studiosi di archeologia, hanno fatto propri l’immagine, e il culto, dei Giganti?
“Nell’ultimo secolo non c’è stata nessun’altra scoperta in Sardegna tanto straordinaria, è normale che anche l’attenzione sul tema sia eccezionale”.
Ma i nuraghi, le domus de janas e tutto il patrimonio archeologico sardo, non sono altrettanto eccezionali?
“Certo, ma sono cose che abbiamo sempre conosciuto. I Giganti, invece, sono venuti alla luce dal sottosuolo e in un momento storico in cui erano assolutamente inaspettati, quando si pensava che le espressioni della civiltà nuragica fossero già note. Non dimentichiamo poi che oggi le persone sono preparate a capire e cogliere l’importanza di un ritrovamento simile, magari se la scoperta fosse avvenuta un secolo fa non sarebbe andata così”.
Eppure non si spiega come questo interesse riesca a coinvolgere tutti: si tratta comunque di archeologia, una scienza poco popolare, di solito relegata alle aule delle università.
“Il popolo sardo già da tempo mostra un’attenzione molto vivace verso la sua storia. A volte è eccessivamente morbosa ed esagerata e così capita che si dia credito a cose non vere, come i celebri falsi di Arborea, o che ci si lasci andare a polemiche esagerate come è successo proprio attorno a Mont’e Prama, ma l’attenzione per il proprio passato e la propria cultura è sempre un fatto positivo. Le statue di Cabras poi esercitano su tutti un fascino suggestivo anche per il loro aspetto: questo astrattismo così contemporaneo ci colpisce, le avvicina a noi più di quanto non siano le altre testimonianze archeologiche sarde. E poi c’è lo sguardo: sono occhi che ci scrutano, ci turbano nel profondo, e per questo così affascinanti”.
Francesca Mulas