L’attentato in Sardegna come segnale: dimostrare che nessun luogo è sicuro

Lanciare un segnale preciso, terrorizzare e far capire alla popolazione che nessun luogo è sicuro. Sarebbero queste le ragioni che avrebbero spinto Alhaj Ahmad Amin, il presunto terrorista affiliato all’Isis arrestato ieri a Macomer e ora rinchiuso nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros, a pianificare un’azione terroristica in Sardegna. Un luogo apparentemente impensabile, non una capitale o un centro particolarmente gettonato dai turisti, un luogo per molti sconosciuto i cui effetti, dopo una eventuale rivendicazione, sarebbero stati dirompenti.

È l’ipotesi su cui stanno lavorando gli investigatori della Digos di Cagliari e di Nuoro che per mesi hanno seguito passo dopo passo gli spostamenti di Alhaj Ahmad Amin, hanno ascoltato le sue conversazioni telefoniche e sentito quelle che avvenivano in casa. Un lavoro di intelligence certosino e minuzioso che ha consentito di frenare sul nascere ogni possibile azione. L’attività investigativa è partita a settembre dalla segnalazione ricevuta dalla Direzione centrale della polizia di Prevenzione che aveva ricevuto dalla autorità libanesi l’informazione dell’arresto di un presunto terrorista affiliato all’Isis che pianificava di avvelenare con la ricina dei serbatoi d’acqua da cui si riforniva l’esercito libanese. Proprio il presunto terrorista aveva confessato che un cugino, poi risultato essere Alhaj Ahmad Amin, da tempo trasferito in Italia stava pianificando di realizzare un’azione analoga in Sardegna. Ricevuta la segnalazione sono scattati una lunga serie di accertamenti che hanno consentito di individuare il parente dell’arrestato, da quattro anni residente a Macomer con la moglie e i tre figli.

È stata subito eseguita una perquisizione del domicilio che ha permesso agli investigatori di sequestrare materiale informatico e telefonini, ma anche di piazzare alcune “cimici” in casa. Ed è proprio grazie alle intercettazioni, accanto ai riscontri incrociati e all’analisi del materiale sequestrato che i poliziotti sono riusciti a ricostruire il piano del 38enne finito in manette ieri. Alhaj Ahmad Amin, infatti, dopo aver aiutato il cugino a pianificare l’avvelenamento con la ricina dei serbatoi d’acqua – nel corso delle indagini è emerso che insieme avevano provato a preparare il composto ma avevano sbagliato il dosaggio – aveva tentato di acquistare analoghi prodotti nocivi una volta rientrato in Italia. Aveva anche chiesto allo stesso cugino di vedere alcuni filmati e di leggere i documenti in cui veniva spiegato come ottenere la ricina.

Tornato a Macomer, risulta che Amin avesse continuato ad avere contatti con il parente. Insieme avrebbero progettato di contaminare alcuni alimenti con la polvere di ricina durante un evento pubblico in Sardegna. Il 38enne, secondo quanto emerso dalle indagini, ha visitato numerosi siti internet mostrando “un inconsueto, ma perseverante interesse per alcune microtossine afferenti alla filiera agro-alimentare e per le conseguenze sulla salute pubblica”, scrive la Gip del tribunale di Cagliari Lucia Perra nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare. In particolare Amin si sarebbe documentato sulle cosiddette “aflatossine”, della categoria più pericolosa, e sul methomil. Ma avrebbe anche studiato un pesticida non commerciabile in Italia perché ha concentrazioni superiori a quanto consentito dalla normativa vigente. Per procurarsi il materiale, il presunto terrorista avrebbe anche visitato siti esteri per l’acquisto on-line. Secondo quanto emerso dalle indagini almeno in una occasione era entrato in possesso di materiale pericoloso.

La conferma arriva da una discussione intercettata avuta con la moglie relativa a un prodotto che aveva trovato in casa e che, secondo lei, non era un comune insetticida. “Perché non l’hai buttato nel giardino dato che è per gli insetti – dice lei – allora non è per gli insetti? Questa cosa è molto pericolosa. Cosa credi? Non devo rischiare la vita e lasciare i miei figli da soli”.  Sarebbe stata la moglie a bloccare la possibile fuga di Alhaj Ahmad Amin, nascondendogli probabilmente il passaporto e quello delle figlie. L’uomo aveva anche tentato di prelevare in banca tutto il denaro che aveva depositato su una carta prepagata, poco meno di 6mila euro. Due le ipotesi: o voleva partire oppure quei soldi gli sarebbero serviti per comprare il pesticida. Sta di fatto che era riuscito ad incassare solo poche centinaia di euro.

Ma.Sc.

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