L’antifascismo della memoria va in scena nella sala consiliare di Sassari

L’Aula consiliare di Sassari – città dei ‘funerali fascisti’ di inizio settembre  – si apre a un monologo teatrale di resistenza. Mentre si susseguono le novità giudiziarie sulla manifestazione col saluto romano diventata virale in Rete e rimbalzata a livello nazionale. A Palazzo Ducale, martedì 18 settembre alle 19 nello spazio dell’assemblea democratica verrà rappresentato “Storia di un uomo magro”: scritto, diretto e interpretato dall’attore Paolo Floris e liberamente ispirato al libro Il Forno e la sirena, del giornalista Giacomo Mameli. La storia è reale e il protagonista è vivente:  Vittorio Palmas – noto “Cazzài” – ha 105 anni.  È lui l’uomo magro, sopravvissuto a un campo di concentramento. Non uno qualsiasi, ma il lager di Bergen Belsen, in Germania, lo stesso di Anna Frank. Pesavano i prigionieri, soprattutto gli ebrei. Chi pesava meno di 35 chili veniva buttato nelle camere a gas. Un giorno pesarono anche Palmas: la bilancia segnò 37 chili. “Sono vivo per due chili”, così ricorda. Ed è grazie a quei due chili che ha raccontato la sua storia ed è ora un centenario. Una pagina di storia rimasta a lungo dimenticata nel dopoguerra, perché gran parte dei sopravvissuti, nella disperata volontà di voler cancellare ogni ricordo, ha tenuto per sé tutte le sofferenze patite.

La piccola storia nella grande Storia. “Spero che la mia storia nel lager di Bergen Belsen insegni qualcosa a chi non vuol capire le lezioni tragiche della Storia”, così ammonisce. Cazzai – dall’Ogliastra – (Perdasdefogu) – era magro e di umili origini: “vive in un paese povero, con gente che vive in case povere, senza luce”. Le scelte importanti che lo riguardano dipendono in parte da quei chili. Pochi, ma non troppo pochi per “partire e andare a fare la guerra”. Magro ma non così magro per imbracciare un fucile e andare in Jugoslavia; una missione semplice, avevano detto, che però si trasforma presto in un inferno: neve e gelo con le scarpe di cartone a combattere una guerra persa in partenza. L’armistizio dell’8 settembre 1943 sembra ridare speranza. E invece Vittorio, sempre più magro, da soldato si trasforma in prigioniero di guerra. E dalla Jugoslavia viene portato in Germania, in un campo di concentramento. E tornano di nuovo quei chili. La sua storia di uomo magro, di “un piccolo grande eroe italiano, sardo” continua grazie a due chili in più. Non sarà bruciato in un forno dai tedeschi, come milioni di altri prigionieri (ebrei, zingari, omosessuali, oppositori) perché pesava 37 chili, al posto di 35.

Il monologo da teatro di narrazione. Contenuto drammatico – da Apocalisse – ma narrazione leggera, fatta di dettagli quotidiani. La vita di Vittorio è tracciata quasi con stile fiabesco, “utilizzando” la sua testimonianza per raccontare la storia di tanti uomini comuni, che la violenza della loro esperienza ha trasformato in eroi. E come in qualsiasi favola che si rispetti c’è un lieto fine, che non toglie però drammaticità alla realtà da Olocausto che è stata vissuta dai nostri nonni.

mo. me.

 

L’EDITORIALE

Il funerale di Sassari: la Rete come strumento per l’apologia del fascismo

 

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