La cucina come “terapia”: fornelli e pentole per riaffermare l’identità culturale

C’è uno spazio nella struttura protetta della Congregazione dove l’integrazione si fa complessa e i conflitti fra le ospiti e le operatrici si acuiscono, è lo spazio della cucina. “È attraverso il cibo – sia nella preparazione che nelle modalità di consumo – che le ospiti hanno bisogno di far valere la propria identità culturale e definire la loro esistenza come individui e come comunità”. Lo affermano le operatrici che lavorano nella struttura vicenziana: “imporre il nostro cibo, le nostre preparazioni, per quanto utili per il loro futuro non aiutano l’integrazione e tanto meno i reciproci rapporti. L’aspetto del cibo va oltre il semplice atto di sussistenza”.

“Capita sempre e con tutte le persone che arrivano”. – raccontano. “Si rifiutano di preparare o mangiare qualsiasi cibo che non sia quello del loro Paese, non vogliono il cibo “italiano” e tanto meno quello delle ospiti che non provengono dalla Nigeria”. Anche le posate non sono gradite, nella loro cultura non vengono usate, e farlo sarebbe come tradire la propria tradizione. Nello stesso tempo sono orgogliose se le operatrici mangiano il cibo preparato da loro. Anche se questo “invito” viene fatto alle operatrici solo col passare del tempo, con la crescita della fiducia e della comprensione reciproca.

Una delle operatrici racconta che quando inizia il turno delle 14 trova in cucina un pasto preparato appositamente per lei da una delle ragazze. “È la maniera per farmi capire che mi stimano e si fidano di me. Non offrirebbero il proprio piatto ad una persona che non apprezzano e di cui non si fidano.”

Il cibo quindi come linguaggio, dove l’eventuale digiuno rappresenta un silenzio, una chiusura. Un atto semplice, ma che può risultare incomprensibile. Capita infatti che in altre strutture, certi operatori si intestardiscano nell’imposizione del cibo e delle preparazioni “locali” come viatico all’integrazione sociale, ma così non è per la struttura cagliaritana dove la cucina risulta essere più di qualsiasi altro luogo, lo spazio dello scontro e dell’incontro, della crescita e dell’integrazione umana prima ancora che culturale.

Proprio per l’importanza del cibo come atto culturale, ogni domenica viene dedicata ai piatti tradizionali delle varie etnie presenti con un intento ben preciso, quello della valorizzazione e della condivisione. Le operatrici cagliaritane mangiano ogni giorno insieme alle proprie ospiti, si sentono come loro, ed è anche in questa serenità, in questa “assenza di giudizio verso il prossimo” che il cammino di recupero e di accoglienza si fa reale.

Or. De.

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