In scena la “febbre” del gioco d’azzardo, lo spettacolo per vincere la dipendenza

Ha trasformato l’incubo di un malato d’azzardo, tra vincite illusorie, ansie, debiti, solitudine e dipendenze in uno spettacolo che dal 2007 fa il giro nelle scuole, medie e superiori, in Sardegna e nel resto d’Italia. “Il teatro può essere più efficace di una lezione di terapia di gruppo o dei farmaci. Per risolvere il problema investiamo sui giovani”. Parole di Stefano Ledda autore e interprete di “GAP/ rovinarsi è un gioco”, prodotto dal Teatro del Segno del quartiere popolare di Is Mirrionis a Cagliari, in cui racconta le vicissitudini di Emanuele figura che incarna le storie di decine di persone cadute nella trappola del gioco d’azzardo.

Come nasce lo spettacolo?

“L’ispirazione mi è venuta nel 2004 dalla lettura di un articolo di giornale che riportava la storia di un mio coetaneo che aveva finto il suicidio per debiti di gioco. Mi sono incuriosito e ho iniziato a guardarmi intorno. Io abito a Is Mirrionis, quartiere in cui sono nato e cresciuto. Mi sono reso conto che ovunque c’erano slot machine e videopoker. Allora ho iniziato a fare domande, ho intervistato 42 persone tra Cagliari e il resto della Sardegna. La prima è stata in un bar, l’ho notata mentre facevo colazione alle otto del mattino e dietro di me sentivo il rumore delle macchinette. Era un bidello che stava già giocando prima di entrare a scuola”.

Emanuele esiste?

“Benché Emanuele non esista in carne ed ossa io non ho inventato nulla. È un personaggio costruito sulle esperienze che mi hanno raccontato le persone durante le interviste. La parabola della sua vita corrisponde a quello che accade a un giocatore d’azzardo da quando infila la moneta per la prima volta ed è estasiato da una vincita che poi si rivela illusoria a quando arriva al punto più buio della patologia. Quando capita che i familiari si allontanino e gli strozzini chiedano indietro i soldi e ti vengano a cercare sotto casa”.

Lo spettacolo dal teatro in due anni si sposta nelle scuole

“L’idea è nata dall’incontro con Rolando De Luca, psicoterapeuta del Centro di Campoformido per giocatori d’azzardo. Nel 2007 l’abbiamo presentato ai pazienti, molti hanno pianto perché si riconoscevano nelle vicende di Emanuele. Così è nato il progetto scolastico, in Sardegna anche grazie Salvatore Carai che dirige il Serd di Olbia. Ci ha detto che è molto più efficace di una lezione di terapia”.

Perché coinvolgere i giovani?

“Perché possiamo renderli più consapevoli di un fenomeno troppo spesso sottovalutato e perché è facendo un investimento di questo tipo su di loro che possiamo evitare altre tragedie. Noi cerchiamo di non demonizzare il gioco ma li mettiamo nelle condizioni di farsi un’idea su questo problema. In tredici anni abbiamo incontrano 20mila ragazzi. La loro reazione è straordinaria. Nel dibattito tra me, i responsabili delle Asl e i ragazzi dopo gli spettacoli, a parte l’imbarazzo iniziale, fanno tante domande, chiedono perché ci sia la pubblicità in televisione se il gioco può fare davvero così male. Fanno domande anche su tante altre dipendenze, è capitato che qualcuno si sia avvicinato, a parte, per sapere come chiedere aiuto”.

Questo spettacolo può salvare un giocatore d’azzardo?

“Ci sono persone, giocatori, che telefonano da noi in ufficio per chiedere dei consigli. Ci sono state persone che ci hanno ringraziato per aver raccontato queste storie, parenti che hanno ringraziato perché hanno capito quello che dovevano o non dovevano fare”.

Andrea Deidda

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