I vescovi sardi contro le bombe Rwm: “La produzione di armi non porta pace”

I vescovi della Sardegna chiedono la riconversione della fabbrica di bombe di Domusnovas.  “La produzione e il commercio delle armi non contribuiscono certo alla Pace, anche se occupano molte persone e collocano in alto l’Italia nella classifica dei fabbricanti di armi. La Chiesa ha sempre sostenuto con fermezza che ‘la vendita e il traffico di armi costituiscono una seria minaccia per la Pace‘. Nel mondo invece crescono sempre più le spese militari e si registrano ancora tanti ‘conflitti dimenticati’: lo scorso anno sono stati 378, sparsi in diverse parti del pianeta, di cui 20 classificati come guerre ad elevata intensità”, scrivono i vescovi in un lungo comunicato pubblicato sul sito della Conferenza episcopale sarda.

Ci sono molte polemiche per l’attività della fabbrica Rwm a Domusnovas, ma c’è chi difende la produzione di bombe perché garantisce stipendi in una zona povera dell’Isola. Una teoria che non piace agli attivisti che chiedono la ricoversione de non vale neanche per i vescovi sardi. “La gravissima situazione economico-sociale non può legittimare qualsiasi attività economica e produttiva, senza che se ne valuti responsabilmente la sostenibilità, la dignità e il rispetto dei diritti di ogni persona. In particolare non si può omologare la produzione di beni necessari per la vita con quella che sicuramente genera morte – scrivono – Tale è il caso delle armi costruite nel nostro territorio regionale e usate per una guerra, che ha causato e continua a generare nello Yemen migliaia di morti, per la maggior parte civili inermi”. La busta paga non deve dipendere dalla fabbricazione di armi: “La questione diviene ancor più lacerante, sotto il profilo etico e socio-economico, poiché tale produzione avviene in un territorio, il nostro, tra i più poveri del Paese, ancora privo di prospettive per il lavoro. Cosi ai nostri operai si offre uno stipendio sicuro, ma essi devono subire l’inaccettabile per mancanza di alternative giuste e dignitose”.

I vescovi si schierano in modo netto contro a fabbrcia di bombe e chiedono la riconverisone delle attività. “Sentiamo il dovere di dire no a tutto il business delle armi, in Sardegna e nel Paese intero. Chiediamo un serio sforzo per la riconversione di quelle realtà economiche che non rispettano lo spirito della nostra Costituzione (art. 11), del Trattato sul commercio delle armi dell’ONU del 2 aprile 2013 (Arms Trade Treaty – ATT), ratificato dall’Italia come primo Paese UE, e della legge italiana 185/1990, che proibisce esportazione e transito di armi ‘verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani'”.

Dalla conferfenza episcopale sarda arriva un invito alla ricerca di una soluzione alternativa. “È compito di tutti studiare con serietà, impegno e profondo senso di responsabilità la possibilità di un lavoro dignitoso per gli operai attualmente impegnati in tali attività. In questa direzione vogliamo sollecitare in ogni modo le migliori risorse della nostra terra: le Autorità istituzionali Comunali, Regionale e Nazionale, l’Università e la Scuola, il Mondo imprenditoriale, economico e della cultura, le associazioni dei Lavoratori, la Società civile in ogni sua componente”, scrivono i massimi rappèresentanti della Chiesa nell’Isola. “L’impegno per la riconversione delle industrie della morte non può essere solo il grido appassionato e sicuramente profetico di quanti sentono con particolare passione la necessità di coltivare la Pace. Può sembrare utopia, ma sappiamo che quando tale impegno è stato assunto da persone di buona volontà si è dimostrato realizzabile e fecondo. Come Chiesa dobbiamo e vogliamo lavorare soprattutto per la formazione delle coscienze e per ricordare a tutti il dovere del rispetto dei diritti di ogni uomo e di ogni donna, a qualunque Paese appartengano – concludono -. Siamo pertanto chiamati tutti a portare e ad annunciare la Pace come la buona notizia di un futuro dove ogni vivente verrà considerato nella sua dignità e nei suoi diritti”.

M. Z.

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