Ecco perché oggi siamo un Paese libero

In occasione della Festa della Liberazione, pubblichiano il testo del discorso che stamani – nell’ambito della celebrazione della Resistenza organizzata dal comune di Verona, sarà pronunciato nel Palazzo della Gran Guardia dal partigiano sardo Vittore Bocchetta.

Quel 25 aprile del 1945 io non ho avuto la gioia di celebrare la libertà della nuova Italia. Ero ancora in quella Germania che mi teneva incatenato. Sono tornato solo nel seguente luglio, quando i giochi erano fatti. Sono tornato a sentire una storia diversa da quella che avevo vissuto ed io ero troppo solo a contestarla.

Le ceneri dei miei compagni testimoni erano rimaste sui cumuli tedeschi. I salvati, qui, rimanevano, stupefatti ed in silenzio, travolti dalla moltitudine dei nuovi impostori. A me sopravvissuto non restava che memoria, memoria che resta ancora e sempre. Memoria di vent’anni di fascismo.

Di tutti i ricordi del mio passato c’è la mia fanciullezza e la mia adolescenza. Quando dovevamo conoscere solo ciò che veniva dettato, che veniva imposto a scuola e sulla strada. Quello che dovevamo sentire dagli altoparlanti e dalla radio. Quello prestabilito ed iniettato nei nostri sensi, nel nostro respiro ed ogni nostra azione giovanile.

Docce, di Vittore Bocchetta
Docce, di Vittore Bocchetta

Ciò che non era fascista era proibito. Proibito parlare, proibito ridere e proibito piangere. Soprattutto era proibito pensare.

La nostra storia era imposta, disposta e censurata. La cultura del resto del mondo travisata ed occultata. E noi piccoli e ignoranti ne eravamo fieri, fieri di essere quello che ci veniva impartito. Fieri di giurare. Giurare di credere!

Come si può giurare di credere? Eppure abbiamo giurato di credere, credere in una illusione fatale. Abbiamo giurato in nome della nostra innocenza. Chi non giurava veniva escluso dalla scuola, dal lavoro e dai più elementari diritti sociali.

Poi abbiamo giurato di obbedire ed abbiamo giurato di combattere. Combattere chi? Quale nemico? Noi stessi e fra noi. E ci siamo combattuti, l’un contro l’altro. E così ogni persona cessò di essere individuo. Di essere uno ed indivisibile. E venne la catastrofe e nella catastrofe alcuni di noi divennero uomini, rientrarono in se stessi e cominciarono a pensare. Compatirono il prossimo loro e offrirono il poco rimasto della loro umanità, della loro vita.

E alla fine salirono ai monti. Salirono a salvare l’onore della nostra storia. Non tutti li hanno seguiti. I migliori sempre son pochi. Sono saliti com’erano coi loro vestiti poveri, con le scarpe rotte e con le vecchie armi garibaldine. Senza paga e senza rancio. Li chiamarono banditi e furono banditi, banditi per onore e per orgoglio. Per il contadino al quale mancava una gallina erano ladri e briganti.

E vennero poi i ragazzi di Salò, ben pagati, ben pasciuti e ben vestiti, vennero armati di tutto punto e i villaggi e le dimore contadine furono ridotte a ferro e a fuoco.

I ragazzi di Salò! Fecero un diligente lavoro i ragazzi di Salò insieme ai loro kamaraden. Un lavoro eseguito con zelo. Eliminarono i figli migliori della nostra città. Lo fecero minuziosamente. Nessuno di quegli uomini illustri rimase vivo e libero.

Io lo posso dire. Io che li ho visti torturati e morti. Io che al mio ritorno ho sentito il loro vuoto, quel vuoto che non si può più colmare, quel vuoto per cui non mi resta che piangere:

MARIO ARDU
GUGLIELMO BRAVO
ANGELO BUTTURINI
GIUSEPPE DEAMBROGI
GIOVANNI DOMASCHI
GIUSEPPE MARCONCINI
PIETRO MELONI
FRANCESCO VIVIANI

Io non vi ho dimenticato. Nessuno vi deve dimenticare. Perché per voi viviamo questa Italia libera.

Questa Italia dove si può dissentire, dove si può protestare, dove si può pensare. dove si può correggere e rinnovare, dove nella critica severa ed onesta si scopre l’amore. Tanto amore da morire.

Vittore Bocchetta

 

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