Al Massimo col Cedac c’è “Servo di scena”, l’omaggio di Branciaroli alla vita di teatro

Raffinato racconto metateatrale, “Servo di Scena” di Ronald Harwood – in cartellone al Teatro Massimo di Cagliari da stasera (alle 20.45) fino a domenica 7 aprile (da mercoledì a sabato alle 20.45, domenica alle 19 e giovedì 4 aprile un doppio appuntamento con la pomeridiana alle 17 e la recita serale alle 20.45) per “M’Illumino di Prosa” segna l’atteso ritorno nell’Isola di un artista eclettico, dallo straordinario talento istrionico e carisma da “matt-at(t)ore”, come Franco Branciaroli.
Protagonista sul palco (nei panni di un grande interprete della scena inglese, un non meglio identificato “Sir”, sullo sfondo di un’Europa in guerra, nella Londra ferita dai bombardamenti, in cui ferve più che mai la vita culturale e mondana) accanto a un convincente Tommaso Cardarelli nel ruolo del fido assistente o “servo di scena”, Branciaroli firma la regia della pièce, un vero “classico” del Novecento nonché dichiarato atto d’amore per il teatro, nell’allestimento di CTB–Teatro Stabile di Brescia / Teatro de Gli Incamminati. Completano il cast (in ordine di apparizione) Lisa Galantini, Melania Giglio, Daniele Griggio, Giorgio Lanza e Valentina Violo, mentre scene e costumi con la cifra preziosa di Margherita Palli e il disegno luci di Gigi Saccomandi restituiscono atmosfere e suggestioni in questo viaggio dietro le quinte, tra la vita segreta nei camerini e la catartica metamorfosi nella magia del palcoscenico.
“Servo di Scena” di Harwood descrive nei dettagli quell’universo denso di passioni e contraddizioni oltre il sipario, tra istintive simpatie e antipatie, feroci rivalità e rigide gerarchie che rispondono ai meccanismi del successo; mostra la realtà quotidiana di una compagnia, tra tournée, amori e vanità, che svanisce all’accendersi dei riflettori, per lasciare il posto alla commedia o al dramma che si recita sulla scena, ai personaggi di una storia inventata e affidata ai versi immortali di autori come Shakespeare. Il contrasto tra le miserie umane e lo splendore sulla scena fa da contrappunto all’immagine di una Londra che resiste con eleganza, e nonchalance tutta britannica agli attacchi aerei nemici ostentando una coraggiosa vitalità e vivacità culturale: ristoranti e pub, come i mitici ed esclusivi clubs non chiudono i battenti, e così i teatri; le compagnie recitano le loro pièces e il pubblico applaude anche sotto le bombe, in una voluta e tenacemente perseguita “normalità” nonostante la guerra.
I pericoli e i disagi non fermano neppure gli artisti: le tournées proseguono, il sipario si apre ogni sera e la necessità di andare in scena, di offrire al pubblico la distrazione dalle ansie della quotidianità con l’ironia della commedia e la catarsi della tragedia fa sì che le difficoltà pratiche dell’allestimento, le prove e gli esercizi di memoria, l’equilibrio del cast e la qualità della rappresentazione facciano dimenticare la paura. La vera realtà diventa quella del palcoscenico e degli applausi: la parabola del successo, con i trionfi e le inevitabili défaillances, e l’esigenza di affascinare e conquistare l’attenzione delle platee ogni sera diverse, più o meno avvertite e sensibili, sono il fulcro della commedia dolceamara di Harwood, che offre uno spaccato delle dinamiche interne di una compagnia teatrale, tra l’ansia e la frenesia prima del debutto, talenti ancora da scoprire e segrete ambizioni.
La mise en scène del “Re Lear” di Shakespeare in una Londra Anni Quaranta diventa così l’occasione per una riflessione sul senso del teatro da un punto di vista privilegiato, quello del “servo di scena”, ovvero l’assistente di “Sir”, primo attore e capocomico della compagnia: con lo stile brillante della commedia, lo spettacolo svela la duplice solitudine del grande artista all’apice della carriera e ancor più davanti alle ultime battute del copione dell’esistenza, ma anche di chi ha messo la propria vita al servizio dell’arte e dell’innegabile carisma del maestro. La grazia scintillante e l’incisività dei dialoghi mette a nudo l’uomo dietro la maschera, mostra la fragilità e le debolezze ma anche la passione e l’impegno, la tecnica e lo studio al servizio del talento, l’impeccabile professionalità del misterioso “Sir” e dei suoi compagni di viaggio.
La pièce di Ronald Harwood (da cui è stato tratto anche il celebre film di Peter Yates, su sceneggiatura dello stesso Harwood, con Albert Finney e Tom Courtenay) offre una giostra di situazioni, equivoci, piccoli e grandi drammi da backstage, per culminare nell’inatteso “canto del cigno” di quell’ineffabile “Sir”, ennesima prova dell’incomunicabilità tra due mondi, suggello della sua grandezza e del suo egocentrismo, specchio di un’arte immortale ma anche fragile fondata sul carisma, sul talento e la bravura ma soggetta alle mode e alla volubilità del pubblico.

Metafora straordinaria dell’arte del teatro e del mestiere dell’attore, “Servo di Scena” di Ronald Harwood coglie gli ultimi istanti di una splendida parabola esistenziale, le pagine finali del libro della vita di un grande capocomico, tra la magia del palcoscenico e la nuda realtà del quotidiano, sullo sfondo dell’Europa in guerra. Ritratto di un artista (da vecchio) consumato dagli anni e dalla fatica delle tournées, quando la memoria sembra pronta a tradire, la mente si confonde ma la passione rimane e sotto le rughe, il trucco e i costumi arde il sacro fuoco della recitazione: come ogni sera la metamorfosi si compie e si recita il dramma, in un trionfo di applausi. Mistero dell’arte ma anche della dedizione dell’assistente del maestro, il “servo di scena” che dà il titolo alla pièce – e al film cult firmato da Peter Yates, con Albert Finney e Tom Courtenay (cinque nominations agli Oscar e Orso d’argento per Albert Finney al Festival di Berlino).
 
L’autore
Nato a Città del Capo, in Sud Africa, Ronald Harwood appena diciassettenne si trasferisce a Londra per intraprendere la carriera di attore teatrale, entra far parte di un compagnia shakespeariana ma ben presto inizia a lavorare dietro le quinte come assistente di Sir Donald Wolfit. Una collaborazione estremamente proficua, che permetterà al futuro drammaturgo di scoprire dall’interno meccanismi e equilibri del microcosmo che ruota intorno al palcoscenico, i segreti, i riti e le tradizioni che caratterizzano l’ambiente dello spettacolo, e proprio da quelle esperienze Harwood trarrà spunto e materia per i suoi drammi. “Servo di Scena” (The Dresser) viene rappresentato con successo nel West End e Broadway – debutta nel 1980 in The Royal Exchange Theatre, poi al Queen’s Theatre a Londra  con Freddie Jones (Sir) e Tom Courtenay (Norman), ottenendo una nomination ai Laurence Olivier Awards; e sbarca al Brooks Atkinson Theatre di Broadway nel 1981, con 200 repliche (in scena Paul Rogers e Tom Courtenay) e nominations al Tony Award per la miglior opera e per il miglior attore (Tom Courtenay) nonché al Drama Desk Award for Outstanding Actor in a Play (Paul Rogers). Diventerà anche un film, “The Dresser” (con sceneggiatura dello stesso Harwood), per la regia di Peter Yates, con Albert Finney (Orso d’Argento a Berlino come miglior attore) e Tom Courtenay, già interprete delle versioni teatrali (il film avrà con cinque nominations agli Oscar, tra cui quella per la sceneggiatura).
Negli anni successivi , Ronald Harwood  continua a scrivere sia per il teatro che per il cinema e anche per la televisione, lavorando per registi come Mike Figgis e István Szabó. Nel 2003 vince il suo primo Oscar per la migliore sceneggiatura non originale per “Il pianista” di Roman Polanski, con il quale tornerà a lavorare nel 2005 in “Oliver Twist”.
Presidente dell’English Pen (Sindacato Scrittori Inglesi) dal 1990 al 1993 – e di quello internazionale dal 1993 al 1997, nel 1996 ha ricevuto il premio “Chevalier dans l’Ordre National des Arts et Lettres” e nel 2000 lo “Stefan Mitrov Ljubisa” per la Letteratura Europea. Nel 1999 è stato nominato C.B.E. nella “New Year’s Honour List”
Ha firmato la sceneggiatura  di film come “Being Julia – La diva Julia” di Szabó (dal romanzo di Somerset W. Maugham,), “Lo scafandro e la farfalla”  di Julian Schnabel, “L’amore ai tempi del colera” di Mike Newell (sulla falsariga del libro di Gabriel García Márquez), oltre all’epico-romantico “Australia” di Baz Luhrmann, e il recentissimo “Quartet” (tratto dall’omonima pièce di Harwood) che segna l’esordio alla regia di Dustin Hoffman.

 

Incontro con gli artisti

Ultimo appuntamento con “Oltre la scena – gli attori raccontano” venerdì 5 aprile alle 17.30 alla MEM/ Mediateca del Mediterraneo di Cagliari: Franco Branciaroli e Tommaso Cardarelli insieme alla compagnia racconteranno la loro mise en scène di “Servo di Scena” di Ronald Harwood, tra ispirazione e aneddoti di una vita dietro le quinte, e tecniche e segreti del mestiere dell’attore fra teatro e cinema nell’incontro con il pubblico coordinato dal giornalista Gianfranco Capitta. (ingresso libero)

 

 

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