Cure trapiantati di fegato nel Nuorese: “Serve un ambulatorio per il territorio”

Sono circa novanta i trapiantati di fegato nel Nuorese e dell’Ogliastra, costretti a viaggiare per le cure. Da qui la richiesta, di cui si è fatta portavoce l’associazione ‘Socialismo, diritti e riforme’, al presidente della Regione, Christian Solinas, e all’assessore regionale alla Sanità, Mario Nieddu, per l’apertura di un ambulatorio nell’ospedale San Francesco di Nuoro. “Appare paradossale e non degno di un Paese civile – spiega la presidente Maria Grazia Calligaris – non garantire la possibilità di effettuare un corso di formazione nel Centro trapianti di fegato dell’Ospedale Brotzu di Cagliari in modo da poter effettuare le indispensabili visite periodiche di controllo ai trapiantati”.

Il trapianto di fegato, aldilà dell’intervento in sé piuttosto delicato e lungo, richiede una particolare attenzione nei diversi momenti della preparazione e dell’impianto. Superata la fase acuta, per tutto il resto della vita il trapiantato di fegato deve sottoporsi a controlli periodici. Si tratta di valutazioni sulle condizioni generali del paziente e dell’organo trapiantato. Solo osservando rigide regole di comportamento e controlli sanitari periodici si può garantire infatti qualità alla vita di un trapiantato. “Non è difficile comprendere che i continui viaggi a Cagliari per sottoporsi in regime di Day Hospital agli esami clinici non favoriscono condizioni ideali per chi è immunodepresso. Il lungo periodo di lockdown ha portato alla sospensione delle visite di controllo nel Centro Trapianti di Cagliari, creando grave apprensione tra i pazienti e i loro familiari”.

Il progetto di aprire un servizio nella struttura nuorese ha proprio lo scopo di “contenere i disagi a persone fragili fisicamente e psicologicamente, talvolta anche con problemi economici in quanto non sempre risulta possibile effettuare viaggio e controllo in una sola giornata per l’assenza di collegamenti adeguati. Non si può del resto dimenticare che diverse persone devono affrontare viaggi di oltre 400 chilometri per le cure e non è raro che possano perfino aver perso il lavoro”.

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