Cultura, Giganti e identità. Le riflessioni di Pinuccio Sciola su Sardinia Post

Pinuccio Sciola, il grande maestro di San Sperate scomparso questa mattina a 74 anni, ci ha regalato in più occasioni le riflessioni sui temi della cultura, della storia e dell’identità sarda. Profondo conoscitore della Sardegna in tutti i suoi aspetti, amava intervenire con il suo solito tono pacato su questioni di attualità, consapevole che le sue opinioni avrebbero suscitato dibattiti e polemiche.

LA BANDIERA

Un anno fa ad esempio aveva risposto con una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che nel suo discorso di insediamento aveva menzionato la barbarie delle decapitazioni degli ostaggi in Medio Oriente e le guerre in Africa. Un discorso che aveva portato il Maestro a riflettere sulla nostra bandiera, il cui simbolo sono quattro teste di mori. Da qui la proposta: dato che la bandiera dei Sardi ricorda immagini così cruente di morte, perché non cercare un altro simbolo per rappresentarci? “È inconcepibile che un popolo, una nazione civile – scriveva in questa lettera indirizzata a Mattarella – possa esibire come vessillo della sua identità un’immagine così cruenta, così offensiva ad altre popolazioni”. Una riflessione che suscitò una valanga di commenti, alcuni positivi, altri aspramente critici, a cui Sciola rispose con un editoriale pubblicato sul nostro quotidiano: “In tante parti del mondo i miei lavori con le Pietre sono l’immagine della nostra terra. Una terra che è la più bella scultura al centro del Mediterraneo. Ma proprio per questo, per la sua bellezza, credo debba essere aperta al confronto, allo scambio internazionale, e quindi debba essere capace di ragionare dei suoi simboli in relazione alla sensibilità di tutto il mondo e di tutte le persone che lo popolano”.

LA SARDEGNA E IL LAVORO

Sulla situazione di crisi nell’Isola Pinuccio Sciola è spesso amareggiato: dopo tanto viaggiare, dopo aver studiato con maestri di fama internazionale e aver esposto le sue sculture in tutto il mondo è tornato a vivere in Sardegna. Una terra che ha amato e odiato allo stesso tempo, come racconta in questa intervista a Donatella Percivale: “Amo la mia terra come una madre, amo le pietre che mi chiamano ogni giorno, non potrei mai vivere lontano, ma ho ricevuto molti schiaffi: mi hanno buttato fuori dall’Accademia perché non avevo i titoli, mi hanno scartato dalle commissioni perché non avevo le tessere. Sono andato avanti da solo, con ostinazione, e continuerò a farlo, con o senza i politici di turno. Ho progetti ambiziosi, voglio raccontarla questa mia terra al mondo”.

LE SCULTURE NURAGICHE DI MONT’E PRAMA

Pinuccio Sciola sarebbe responsabile di un clamoroso falso, si legge nell‘intervista all’architetto veneto Franco Laner: sarebbe lui l’artista che scolpì le statue di Mont’e Prama. All’affermazione, più una provocazione che una verità, Pinuccio Sciola rispose con la sua solita ironia: Beh, non posso che esserne lusingato: quelle sculture sono di una bellezza straordinaria ma non le ho scolpite io. A dire il vero quello scultore non era neanche sardo”. Su Mont’e Prama, tema che negli ultimi anni ha suscitato un grande dibattito tra gli appassionati di storia isolana, ha idee ben precise: “Attorno a Mont’e Prama si sta creando una psicosi assurda: sono certamente bei manufatti, ma non hanno nulla a che vedere con la cultura nuragica. Non dico che siano più o meno importanti, dico solo che si tratta di qualcosa che ci hanno portato dall’esterno, creato materialmente qui ma da un artista di fuori”.

Con quello scultore che tremila anni fa realizzò le sculture di Mont’e Prama il Maestro ha anche dialogato. Subito dopo l’inaugurazione della mostra al Museo Archeologico di Cagliari con cui le statue sono state esposte al pubblico dopo il restauro Pinuccio Sciola scrisse, di getto, una lettera a Thabor, l'”antico collega” che scolpì i Giganti. “Poi, ad un tratto, lo vidi. Era lì, in un angolo, nascosto, in mezzo a tanta gente. Giovane, giovanissimo, con l’aria un po’ timida, l’ho riconosciuto subito: era Thabor, lo scultore dei giganti di pietra. Nessuno lo aveva invitato ed era arrivato fino a lì in incognito. Un viaggio lungo, dal lontano Oriente, attraverso le colonne d’Ercole fino alla Sardegna, cuore del Mediterraneo. Anche lui mi riconobbe, e fui felice di avvicinarlo. Invisibile agli occhi dei visitatori, si muoveva come un folletto in mezzo a un bosco profumato: era felicissimo per il tributo che le sue opere raccoglievano”.

Francesca Mulas

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