Coronavirus, l’identikit dei morti sardi: da 42 anni a 91, 18 uomini e 3 donne

È di 74,3 anni l’età media dei morti in Sardegna per il coronavirus. Il dato è stato diffuso dalla Regione nella videoconferenza quotidiana. È stato il presidente Christian Solinas a illustrare il dato dei decessi, con le tabelle proiettate dal direttore generale del Personale e degli Affari generali, Riccardo Porcu.

Proprio oggi, nel consueto bollettino sanitario delle 18 stilato dall’Unità di crisi, i morti in Sardegna sono saliti a 21, mentre il totale dei contagi è arrivato a quota 530 (qui tutti i numeri, qui i grafici). Quei 74,3 anni sono una media tra il morto più giovane, che ne aveva 42, e quello più anziano, di 91. I decessi sono quasi tutti maschili: 18 contro le tre donne morte. Una proporzione di 85,7 a 14,3.

Il nord della Sardegna, da Sassari a Olbia passando per Alghero e Ozieri, resta il territorio più colpito: nella provincia si contano 336 casi (+5 rispetto a ieri), pari al 63,39 per cento. Ma solo nell’ospizio ‘Casa Serena’ i positivi sono diventati 73. La Città metropolitana di Cagliari è seconda, con 83 infetti. Segue Nuoro con 52 positivi, poi il Sud Sardegna con 50 contagi, un’impenata determinata dai 29 nuovi contagi concentrati in una casa di riposo a Sanluri. Chiude la classificas regionale l’Oristanese, con 9 malati, due in più di ieri.

Solinas ha poi fatto il punto sul materiale anti-contagio a disposizione in Sardegna. “Abbiamo al momento 1.920 mascherine Ffp3; 35.480 del modello Ffp2; le Ffp1 sono 250; 58.750 quelle chirurgiche; 18mila le Tnt; ci sono 52mila guanti; mille le tute; quindici i termometri. È nostro obiettivo – ha proseguito il capo della Giunta – sottoporre a test rapido tutto il personale in servizio negli ospedali, i pazienti e ospiti e operatori delle case di cura”. Proprio sugli ospizi è intervenuto anche l’assessore alla Sanità, Mario Nieddu, che ha parlato di “emergenza”. Quanto alle misure da adottare, Solinas ha anticipato che “la Regione tirerà su l’asticella di tutela nei confronti di medici, infermieri e operatori socio-sanitari, prevedendo protocolli più rigorosi”.

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