Il teatro diventa finestra sulla diversità: in scena la pièce ‘Io non farò la mia fine’

Incomincia sul palcoscenico del Teatro Massimo di Cagliari l’avventura di “Io non farò la mia fine“, la storia di una madre che si batte per offrire a suo figlio nato con una sindrome di Down un’esistenza degna di essere chiamata umana. Un bell’esempio di buon teatro sociale con occhi e cuore rivolti al riscatto della diversità e della disabilità che non accettano più di essere guardate con lo sguardo pietista. Il testo dell’esordiente Paola Atzeni, scoperta da Lucia Calamaro, tra le più autorevoli firme del panorama teatrale italiano, è andato in scena tra gli applausi in forma di primissimo studio. La regia è firmata da Nicolò Columbano, nel cast Michela Atzeni, Edoardo Mario Capuano, Ornella D’Agostino, Luca Spanu. Una “prova aperta” per lo spettacolo, prodotto da Sardegna Teatro. A febbraio andrà in scena come secondo studio, il debutto è fissato per maggio. Un sogno che prende forma per Paola Atzeni, originaria di Nurri. “Vedere in scena uno spettacolo nato su un mio testo è stata un’emozione grandissima – dice all’ANSA – del tutto inaspettato, poi, è stato l’interesse che un’autrice straordinaria come Lucia Calamaro ha mostrato verso la scrittura di una sconosciuta, una delle tante allieve dello stage svoltosi a Roma. Un corso per attori e autori al quale avevo partecipato non senza grandi sacrifici e senza alcuna aspettativa, per inseguire la mia passione”. Un amore profondo per il teatro, coltivato fin dagli anni di un’adolescenza difficile, nella realtà di un piccolo paese di provincia del Sarcidano. Tra i 13 e i 15 anni Paola ha già letto Ionesco, Shakespeare, Pirandello, Beckett. Sembra una storia d’altri tempi. Già per prendere il diploma ha dovuto rimboccarsi le maniche e fare la studentessa lavoratrice. “I miei non potevano permettersi di farmi studiare. Avevano già fatto tanto per me e i miei numerosi fratelli. I libri, il teatro, mi hanno salvato la vita- confessa – hanno aperto nuovi orizzonti, e quel vestitino che mi era stato cucito addosso fatto di pregiudizi, vergogna, paura, ha cominciato a lacerarsi. Stava prendendo sempre più forma un desiderio di libertà e autoaffermazione”. Paola è però riuscita a dare un nuovo corso alla sua vita. “Lo stage con Lucia Calamaro e il debutto su un palcoscenico prestigioso all’interno del cartellone di Sardegna Teatro lo definisco un piccolo miracolo laico – confessa – Sardegna Teatro mi ha accolto perché ha creduto nella forza del progetto. Il teatro mi ha reso indipendente intellettualmente, mi ha permesso di liberarmi dalla sofferenza generata da sistemi culturali che possono risultare stretti, impedirci di esprimere completamente noi stessi”, aggiunge la giovane autrice. La pièce è toccante, emozionante, ideatoa per ripensare alla diversità, accoglierla, darle diritto di cittadinanza. Si entra in sala e lo spettacolo ha già una sua magia con gli attori che compaiono tra le poltrone e accolgono il pubblico, indirizzandolo verso la piccola platea allestita sul palco, in forma di ellisse, poi si chiude il sipario. Incipit in pop rap, con Edoardo Mario Capuano che interpreta un successo di Jovanotti, colonna sonora per una danza di cadute e abbracci. Michela Atzeni dà voce a un monologo in cui la frase cruciale è “Comunque auguri lo stesso”.

Una frase crudele che sottende ad altri mondi, riapre antiche ferite. La dice una madre a una figlia. Il pubblico poi entra in una sorta di flashback, fra frammenti di un’ infanzia vissuta tra umiliazioni e ferite. E un destino a cui ci si vorrebbe sottrarre. La pièce è costruita sulla storia di una ragazza poi diventata donna nel rapporto sofferto con la madre. È lei la voce narrante. Un primo assaggio da cui emergono già i temi forti della pièce, una prova d’attrice molto interessante di Michela Atzeni, una coreografia e una danza poetiche di Ornella D’Agostino che restituiscono da un lato il fascino dolente di una madre dura, forse per necessità e consuetudine e dall’altra il percorso di una figlia che vuole andare oltre quei pregiudizi per guardare la diversità con spirito accogliente. “Non un testo che vuole insegnare qualcosa sulla disabilità, ma porre domande e provare a sciogliere i nodi di una corda carica di pregiudizi dolorosi – osserva l’autrice Paola Atzeni – in molti vedono la disabilità esclusivamente come un cappio, ma in realtà può essere un’altalena meravigliosa”. È quel che accade a teatro, in questo piccolo frammento d’utopia realizzata.

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