A La Maddalena il tradimento tedesco. Battaglia del ’43 coi partigiani-militari

La prima medaglia d’oro della Resistenza italiana venne conferita, alla memoria, a un ufficiale della Regia marina militare, il capitano di vascello Carlo Avegno, il quale si oppose all’ccupazione tedesca di La Maddalena insieme a un centinaio di militari tra marinai, carabinieri, fanti e operai. Così dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre del 1943. Per ricordare quel sacrificio di giovanissimi soldati, settantasei anni dopo, la Regione e il Comune hanno eretto un monumento per ricordare quella battaglia che si svolse sull’isola tra il 9 e il 13 settembre del 1943. Erano gli stessi giorni in cui la corazzata Roma’ veniva colpita e affondata dai cacciabombardieri tedeschi e la 90° Panzergrenadier division Sardinien – comandata dal generale Carl Hans Lungerhausen e composta dai resti di alcuni reggimenti dell’Afrika korps di Rommel, in tutto circa 30.000 uomini – abbandonava precipitosamente La Maddalena, dov’era stanziata, passando in Corsica dai porti di Santa Teresa di Gallura e Palau.

Per garantire al convoglio militare un tranquillo attraversamento delle Bocche di Bonifacio il generale tedesco ordinò l’occupazione dell’isola, che avvenne la notte del 9 settembre da parte di due compagnie di granatieri tedeschi. Nel frattempo il generale che comandava le forze armate italiane a La Maddalena, Antonio Basso, aveva dato ordine alle truppe di non attaccare i militari tedeschi in ritarata, consentendo loro di lasciare l’isola senza alcuna resistenza. “In quel momento – ha scritto lo storico Manlio Brigaglia – in Sardegna c’erano due Corpi d’armata: il XXX a nord e il XXI a sud. Comprendevano cinque divisioni per un raggruppamento motocorazzato forte di circa cinquemila uomini. Compresi i paracadutisti della Nembo che si era battuti valorosamente in Africa settentrionale (unendosi alla fanteria tedesca, ndr). Per la precisione 5.108 ufficiali e 126.946 soldati.

I tedeschi del generale Lungerhausen si ritirarono lungo la dorsale Oristano-Macomer-Ozieri-Tempio, usando anche automezzi messi a disposizione dallo stesso Basso, seguiti a distanza dai reparti italiani in uno strano inseguimento al rallentatore, verso i porti d’imbarco di Corsica, Palau e Santa Teresa di Gallura. Il punto-chiave dell’intero piano era La Maddalena. Collocata sulla rotta fra la Sardegna e la ‘gemella’ francese, ma soprattutto armata con numerose batterie di marina, l’isola madre dell’arcipelato una delle più munite piazzeforti d’Italia. Dunque, assicurarsi La Maddalena era per i tedeschi un passo assolutamente necessario sulla strada per la Corsica.

Alle 12,30 del 9 settembre un ufficiale germanico, il comandante Unes, si presenta al Circolo ufficiali dove i suoi colleghi italiani si sono appena seduti a tavola dopo un rapporto tranquillizzante tenuto dal comandante della piazza, l’ammiraglio Bruno Brivonesi. Unes, con pistola in pugno e affiancato da due soldati armati di Machinepistolen, li dichiara tutti prigionieri. Inizia una vicenda in cui incomprensione, tendenza al compromesso e viltà dei capi si mescolano con l’eroismo di uomini che non vogliono arrendersi. A capo dei ribelli’ si mette appunto il capitano di vascello Carlo Avegno, già comandante dell’Accademia militare di Livorno. È Avegno che tesse la trama dei contatti, tenuti da portaordini e messaggeri anche occasionali, fra i diversi reparti di stanza nell’isola, molti dei quali non sono concentrati nell’abitato di La Maddalena ma dislocati lungo gran parte del perimetro costiero”.

Questa ricostruzione porta ancora la firma dello scomparso professor  Brigaglia, il quale ebbe modo di apprendere le reali fasi di quell’embrione di resistenza italiana al nazifascismo proprio dagli stessi sopravvissuti. Si tratta di passaggi che l’ex ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha ricordati nei suoi interventi nel corso di un convegno dedicato nei giorni scorsi alla ‘Battaglia di La Maddalena’. Il comandante Avegno e i suoi cento militari – tra marinai, operai e i carabinieri della Stazione marina – si impossessarono di una ricetrasmittente con la quale si misero in contatto con il Comando superiore della Regia marina  che diede loro il via libera a contrastare la ritirata tedesca con ogni mezzo.

Alle nove e trenta del 13 settembre la batteria di Punta Tegge’ apre il fuoco contro una motozattera italiana che è finita in mano ai tedeschi, mentre gli uomini del comandante Avegno (ucciso da una raffica di mitragliatrice) tentano di liberare l’ammiraglio Brivonesi e il suo stato maggiore, tutti tenuti prigionieri dai tedeschi nel Circolo ufficiali. Dopo uno scontro di cinque ore i tedeschi, temendo che le batterie avversarie aprissero il fuoco contro i convogli marittimi in rotta verso la vicina Corsica, chiesero una tregua, impegnandosi a liberare Brivonesi e gli altri militari. Tra il 9 e il 13 settembre, venticinque italiani morirono nella battaglia di La Maddalena.

Questi i loro nomi e le date in cui persero la vita: il 9 settembre i marinai Giuseppe Forno e Gesuino Murtas e il tenente di artiglieria Arturo Valentini. Il 10 settembre il capitano di vascello Carlo Avegno; il 13 settembre i carabinieri Giovanni Melis e Giovanni Gallu, i marinai Salvatore Marongiu e Renato Vasconi, Primo Sbaraglia, Carmine De Dominicis, Giovanni Langiu, Umberto Indrovini, Gesuino Corrias e Pio Valente, il capo meccanico Francesco Iurissevich, il sottetenente di fanteria Rinaldo Veronesi, il civile Stefano Sirigu, il marinaio sottocapo Emilio Lombardi, i mitraglieri di fasnteria Giovanni Perotti, Pasquale Sassi e Emanuele Gujon, Vittorio Murgia Giovanni Battista Serra, i marinai Giuseppe Spagnoli e Giuseppe Nilo, il sottocapo Anacleto Pagnone, il trombettiere Umberto Mastronuzzi e il carabiniere Giovanni Cotza. Tutti riposano nel sacrario militare di La Maddalena.

Gli italiani feriti furono quarantasei, mentre tra i tedeschi ci furono otto morti e ventiquattro feriti. L’ufficiale medico che partecipo alla battaglia, il sardo Giommaria Dettori, scrisse che “l’unico sprazzo di luce sono loro: i morti, i poveri ragazzi che ho visto soffrire e cadere”. Dettori ricorda cosa su di loro “scrisse un ufficiale su un rapporto: ‘Il merito di quello che è stato fatto, almeno di quello che ho visto, è tutto unicamente della gente che ha trovato da sé la strada della dignità e dell’onore”. Il 15 settembre del 1943 l’ultimo tedesco lasciava La Maddalena. Il giorno prima, a Tempio, il generale Antonio Basso e Carl Hans Lungerhausen avevano pranzato insieme, ribadendo i termini del “contratto” che consentiva ai tedeschi di lasciare, incolumi, l’isola. Per quel “contratto” Basso venne accusato di “omessa esecuzione di incarico” e arrestato nell’ottobre del 1944. Dopo la detenzione il 28 giugno del 1946 venne processato e assolto da un Tribunale militare. 

Il monumento ai caduti di La Maddalena, nella piazza Don Riva di Moneta, è stato progettato dall’architetto Almo Bramucci. Il vescovo di Tempio, Sebastiano Sanguinetti, l’ha benedetto nel corso della cerimonia commemorativa (nella foto) alla quale hanno partecipato le rappresentanze dell’Anpi (sia nazionale e isolana), i picchetti armati della Marina e dei carabinieri, le associazioni d’arma, i parenti di alcuni dei caduti e i sindaci di una trentina di Comuni isolani con i gonfaloni. C’era pure l’assessore regionale agli Enti locali, Quirico Sanna. La fanfara dei Dimonios della Brigata Sassari ha scandito, con gli inni militari, i vari passaggi della commemorazione dei caduti.

Il sindaco di La Maddalena, Luca Montella, ha ricordato che “un avvenimento storico può essere interpretato in positivo solo in relazione al corso degli eventi e alla libertà di cui oggi tutti godiamo, grazie a chi ha dato la propria vita per noi. Quegli uomini, quegli eroi venivano da tutta l’Italia. Molti sì erano sardi, e in tanti avevano soltanto diciannove anni. Il volto dei loro familiari, ancora oggi, porta quel lutto e quel dolore che il tempo non cancella. Onore a loro”.

Giampiero Cocco

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