‘Time in jazz’ visto coi colori dell’arte. Sipario Berchidda al di là della musica

È il ‘Time in jazz‘ visto oltre la musica. Perché il festival di Berchidda – voluto da Paolo Fresu, trombettista e compositore, uno dei maggiori protagonisti della scena jazzistica internazionale – è sempre di più un evento attento ai linguaggi della contemporaneità. La rassegna di quest’anno, cominciata il 7 agosto e giunta alla sua 23° edizione, mette insieme anche esperienze vicine al mondo dell’arte, della letteratura, del cinema con l’intento di esplorare la complessità e la completezza di una manifestazione che affonda le radici nel territorio sardo, con le sue tradizioni, la sua gente, i suoi luoghi, la sua natura e la sua cultura. E ogni estate richiama oltre 40mila spettatori. Di qui lo spunto per una riflessione sull’origine e sui colori del jazz: in musica, nell’arte e nello spirito.

Il jazz nacque nella notte dei tempi a New Orleans e questo è quanto si legge in tutti i testi che si rispettino sulla sua storia. Vero è che nei primi anni del Novecento emersero in America, come in Europa, fermenti nuovi nella cultura e nell’arte. Seppur sia difficile, agli esordi dello scorso millennio, che un fenomeno varcasse con facilità i confini di un continente, possiamo affermare che numerosi artisti si fecero portatori di esigenze espressive che si opponevano al passato. Il jazz operò, in ambito musicale, quello che le arti visive stavano massivamente compiendo. Una vera rivoluzione che rimane tuttora ineguagliabile per dirompenza e coerenza intenzionale in cui, il suono ed il gesto, si fecero espressione diretta di un moto dell’animo, senza voler aderire a stilemi accademici.

Se le nuove teorie fisiche, come la relatività di Albert Einstein, avevano sconvolto la tradizionale descrizione e rappresentazione dell’universo, la teoria psicoanalitica di Sigmund Freud aveva rivelato che la coscienza e la razionalità sono solo una piccola parte della mente dell’uomo, i cui comportamenti rispondono invece a forze inconsce ben più potenti e difficilmente controllabili.

I primi canti Jazz sono espressione di questi moti impetuosi, scaturiti dall’animo degli schiavi d’America: I calls and cries, chiamati anche cotton field hollers, erano canti ed intonazioni che esprimevano il loro dolore. I calls (richiami) e i cries (le grida) di questa fase iniziale, e i successivi work-song, costituiscono insieme agli spirituals, alle gospel songs, il blues, le ballate e il ragtime le fonti principali del Jazz. Le radici di questo genere affondano dunque nella cultura musicale africana, successivamente contaminata da quella europea, soprattutto inglese e francese poiché dominante nel sud degli Stati Uniti.

In musica, come in arte, vennero scardinati definitivamente i principi di ordine, proporzione, simmetria, la concezione del bello, gli stessi concetti di spazio e di tempo, riferimenti fino ad allora indiscussi nella cultura occidentale. Venne posta in primo piano l’autonomia creativa, in contrasto con un passato in cui la gerarchia della composizione prevedeva, in primis, la scelta di un buon soggetto.

A ben pensare non vi é grande artista visuale del XX secolo che non abbia dialogato con la musica. Il processo di distruzione delle tonalità, d’altra parte, si sviluppò in parallelo alla nascita dell’arte astratta che riguardò simultaneamente più centri in Europa, Russia ed America. Il desiderio di dar voce a pulsioni inconsce parve accomunare molti ambiti del sapere e si assistette ad una spiritualizzazione dell’arte, che pose in primo piano la dimensione dell’interiorità eleggendo, nell’unione delle diverse discipline, la sede privilegiata di idee universali. I rapporti tra arte, musica e spiritualità vennero trattati da Wassily Kandinsky nel famoso libro ‘Lo spirituale nell’arte’ (1912). Per Kandinsky solo attraverso la musica era possibile rompere i vincoli imposti dall’immagine, giungendo all’astrazione, massima espressione dell’anima. Non a caso molti suoi quadri furono intitolati ‘Improvvisazioni’, ‘Impressioni’ e ‘Composizioni’, mutuando la terminologia dal lessico musicale. Ricordiamo inoltre che l’improvvisazione è uno dei capisaldi della tecnica jazzistica, sebbene in questo caso i due fenomeni non possano essere comparati da un punto di vista storico.

La ‘Harlem renaissance’ influenzò il pensiero e l’opera degli artisti del Novecento, che elevarono la pratica dell’arte superando ogni tipo di limite: razziale, accademico, geografico. I primi ad accogliere con entusiasmo la nascente musica afroamericana furono: Francis Picabia e Man Ray, seguiti da altri tra cui Picasso e Otto Dix. Il jazz divenne fonte di ispirazione per molti pittori americani degli anni Venti e Trenta, ma anche europei come Piet Mondrian o Henri Mateisse, che intitolò ‘Jazz’ un suo celebre libro d’artista.

In Italia, tra gli altri, la scultura in musica di Fausto Melotti e la pittura di Giancarlo Cazzaniga riportavano l’attenzione sull’uomo, sulle sue emozioni ed i suoi sentimenti di fronte al peso crescente dell’alienazione dovuta ai sistemi sociali dominanti. Nel secondo dopoguerra il rapporto privilegiato tra jazz e arte si intensificò ulteriormente: da Jackson Pollock, che dipinse i suoi ‘drippings’ con il jazz in sottofondo, a Andy Warhol, Keith Haring e Jean Michel Basquiat. Nonostante la stretta e rapida selezione che abbiamo dovuto operare è davvero difficile trovare artisti che non siano stati contaminati da questa inarrestabile ed impetuosa onda.

Svelando trame ed intrecci epocali del XX secolo, il jazz è un genere che, oltre ad aver rivoluzionato i canoni tradizionali della musica, ha rappresentato un pluralismo estetico che ha abbracciato le arti legate ai circoli dell’élite così come altre tendenze più vicine alla gente, influenzando profondamente la storia dell’arte. Forti di queste molteplici esperienze arte e musica hanno superato i limiti dello spazio e della simultaneità, estendendo la propria opera nel tempo, facendola vibrare nel nostro spirito, così come solo il suono sa fare.

“Suonate quello che sentite, ripetevo sempre. Lasciatevi andare e alimentate le idee con il vostro suono interiore. Dovete conoscere e immediatamente dimenticare. Fidatevi. La musica si sedimenta in un angolo nascosto della vostra mente e della vostra coscienza fino a quando non si presenta inaspettatamente metabolizzata dal lato più sconosciuto della vostra poetica” [Paolo Fresu – Musica dentro].

Gaia Dallera Ferrario
https://www.instagram.com/gaiafe/

LA GALLERIA FOTOGRAFICA

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