I Monologhi della Vagina al Ferai Teatro Off: ed è (di nuovo) sold-out.

Era il 1996 quando Eve Ensler portò per la prima volta in scena I Monologhi della Vagina (The Vagina Monologues) all’Off-Broadway. A Cagliari, sono approdati nel 2011 e, ogni volta, è “tutto esaurito”. L’ultima, gli scorsi 21, 22 e 28 marzo, al Ferai Teatro Off. Sul palco, due donne (Francesca Cabiddu e Katia Massa) e un uomo (Andrea Ibba Monni), tutti ugualmente intensi, divertenti ed “elegantemente sboccati”. Perché se è vero che per parlare di vagine, ci vuole una donna, per farlo a 360˚, c’è bisogno anche dell’altra metà dell’universo, una metà (si spera) “illuminata”.

1993, Bosnia. Capelli arruffati, occhi vuoti, sconvolti, ormai capaci di riempirsi solo di orrore e paura. A parlare è una delle cinquantamila donne stuprate per giorni nei campi della Bosnia-Erzegovina: “Uomini, mostruosi dottori con maschere nere mi ficcano dentro anche bottiglie, bastoni, un manico di scopa…”. Uomini? Dottori?

Dalla Bosnia all’Africa. Un coltello, un rasoio o un frammento di vetro per tagliare o asportare completamente la clitoride. L’alternativa è “avere le labbra completamente o in parte cucite insieme con filo per suture o spine”. Le conseguenze a breve termine: “tetano, setticemia, tagli nell’uretra, nella vescica, nelle pareti vaginali e nello sfintere anale. Quelle a lungo termine: infezione uterina cronica, estese cicatrici che possono ostacolare a vita la deambulazione, formazione di fistole, aumento del dolore e dei rischi durante il parto, morte prematura”. Ancora oggi, ogni anno, circa due milioni di bambine e giovani donne sono sottoposte a questa barbarie.

Una vecchia signora che è stata una ragazza qualunque, a un qualunque primo appuntamento di una “moderna” città qualunque. Dal ragazzo dei suoi sogni arriva un bacio, di quelli da cinema, ed ecco quella strana “inondazione” che macchia il vestito nuovo. E tutto si trasforma in un incubo che “le fa chiudere bottega”, definitivamente. “Ha detto che puzzava come latte rancido e gli macchiava il sedile della macchina. E che io ero «una ragazza strana e puzzolente»”. Perché la violenza, fisica o verbale, segna comunque una vita intera.

I Monologhi della Vagina danno spazio a queste e ad altre storie come queste ma anche a racconti provenienti dall’altra metà dell’universo: la metà che continua a far riflettere, ma che, allo stesso tempo, fa anche ridere e sorridere. Quella fatta da uomini che amano perdersi negli occhi di una donna e anche nella contemplazione della sua vagina e che, così, finiscono per farla sentire “splendida e deliziosa, come un bel quadro o una cascata”. Quella fatta di donne che danno nomignoli al proprio corpo (e men che mai chiamano per nome quel che c’è “là sotto”), che si scoprono attraverso altre donne e che partecipano a laboratori sulla vagina alla ricerca di sé e della propria femminilità.

Questo, in fondo, è il senso de I Monologhi della Vagina: parlare di sesso, stupro, amore, mestruazioni, mutilazione, masturbazione, nascita, orgasmo senza pruriti ma con rispetto (durante un’ora e mezza, la parola “vagina” viene pronunciata circa duecento volte), con serietà e anche grande ironia.

Parlare di vagina per parlare dell’essere donna, insomma, alle donne e con le donne e, finalmente, anche agli uomini e con gli uomini.

Locandina

Morena Deriu

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