Un blog per i diritti. Delle donne, degli omosessuali, degli immigrati…

Notte e nebbia non è solo la formula magica con la quale Almerich, re degli elfi di wagneriana opera, si trasformava in colonna di fumo sparendo al canto di “Nacht und Nebel, niemand gleich” ovvero “Notte e Nebbia, (non c’è) più nessuno“.

Notte e nebbia è anche il titolo del decreto del 1941 con il quale Adolf Hitler dava disposizione che gli arrestati nei paesi occupati che fossero omosessuali, zingari ed ebrei dovessero essere portati in Germania dove “scompariranno nella notte e nella nebbia”.

Se si intende la democrazia come condizione di assenza di discriminazioni, allora la democrazia nel nostro Paese non esiste da tanto e in tanti altri paesi è ben lungi dall’essere alle porte. Pensate che risale solo a poco più di sessant’anni fa la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti…”

La democrazia è ancora così giovane. La democrazia è cosi giovane e quindi sempre e ancora a rischio, come ci ricorda Gherardo Colombo, ospite, insieme a Stefano Rodotà, Remo Bodei e Vito Mancuso, dell’interessantissimo e appena concluso Festival di Filosofia di Cagliari.

Perché essa sia autonoma da tutto il resto, perché essa possa essere espressione di libertà e non coercizione della stessa, occorrerà sempre il “carburante” del Calamandrei. Come egli ci fa notare, ed è bene per tutti noi tenerlo a mente, la Costituzione è sì affermazione di principi e di ideali, ma è soprattutto una visione aperta e in evolvere del mondo e dell’uomo ed un impegno a realizzare quei progetti che partano dal riconoscimento universale della dignità dell’uomo in quanto essere umano (per quello che è e non per quello che fa).

La prima parte dell’art. 3 della Costituzione recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” “Pari dignità” non significa solo essere “uguali” ma essere degni di esserlo. La Costituzione, la democrazia, è in un qualche modo il testamento di quanti sono morti per stabilire e ristabilire certi diritti.

Per questo dobbiamo pensare alla Costituzione come se fosse un’automobile: se vogliamo farla funzionare, dobbiamo mettere ogni giorno del carburante. E il carburante è la nostra partecipazione attiva alla vita delle istituzioni, è la vigilanza contro gli attacchi ai diritti, è l’impegno di ognuno di noi a realizzare equità e coesione sociale.

Ma se il riconoscimento dei diritti e quindi il diritto dovesse essere costruito in ottemperanza a formule generali e sociali quali “buon costume”, “opinione prevalente”, “normalità”, “naturale”, “orientamento maggioritario”, si correrebbe (e infatti si corre) il rischio di delegare troppo spazio all’individualismo, seppur individualismo collettivo.

Son tutte espressioni, queste, che non possono essere statiche, ma devono essere inserite in una dinamica continua come se stessero morendo e rigenerandosi in continuazione. La nostra stessa vita è morte e rigenerazione continua. Generazione e rigenerazione di diritti.

Insomma, il punto significativo è che il diritto e la democrazia deve dotarsi delle valvole respiratorie dell’ordinamento; valvole aperte che consentano al diritto la flessibilità di adeguarsi all’evolversi delle sensibilità sociali, morali, etiche e anche estetiche.

Anche in questo caso, la morale non va rappresentata come statica e da contemplare, ma come azione creatrice e forza costruttiva di un senso dell’estetica e del sublime che ci conduca a desiderare, abbandonando il proprio ego assoluto, armonia e giustizia che non riconduca a sé e ai propri personali interessi.

Cosa diversa è essere moralisti, ovvero, come direbbe il teologo Vito Mancuso, “padroneggiare etica e morale per la propria dottrina per servirsene e non per servirla”. Ma il mondo non va avanti semplicemente con l’armonia (che è giustizia), ma dentro un continuo confronto tra armonia e caos, tra realtà e illusione, tra vita e diritti, tra diritto e rovescio.

E se, per dirla con Montaigne, “la vita è un movimento ineguale, irregolare e multiforme”, il diritto deve puntare ad eguaglianza, regolarità e universalità.

Per contribuire a ciò, in questo tortuoso cammino che è la conquista dei diritti civili, siano essi per le donne, per i carcerati, per gli immigrati o per gli omosessuali, è importante vivere a contatto con le esperienze di vita altrui (gioie e dolori); ed è quello che molto umilmente cercheremo di raccontare con questo blog.

Nietzsche scriveva che i pensieri, quelli giusti, si fanno camminando; non leggendo libri ma camminando e prendendo contatto con la vita. Tutto ciò che vive sanguina e soffre. Prima di tutto c’è la vita, intesa come contatto costante con la vita. Più l’esperienza è piena di vita, di vita vissuta, e più è vera. Perché nessuno mai più, possa scomparire “nella notte e nella nebbia”.

Gianluigi Piras

 

 

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