Ottana, le sindache di Olzai e Sarule al Pds: “Nessuna rivoluzione con vecchie ricette”

Dalle sindache di Olzai, Ester Satta, e Sarule, Mariangela Barca, riceviamo e pubblichiamo un contributo alla discussione sulla crisi del Centro Sardegna su cui verteranno gli incontri promossi dall’Anci (domani ad Abbasanta) e del Partito dei sardi dell’ex assessore ai Lavori Pubblici Paolo Maninchedda (venerdì), a cui le due sindachesse si rivolgono.

Dopo le annunciate dimissioni del sindaco di Ottana, Franco Saba, si è riproposto con forza il problema delle zone interne del centro Sardegna. Perché è chiaro che il problema Ottana non riguarda solo Ottana ma un intero territorio su cui rimangono le macerie di una politica industriale scellerata.

Lascia perplessi che tra i promotori di questa battaglia ci sia proprio il segretario del Pds (Partito dei Sardi) Paolo Maninchedda, che ha fatto parte in questi ultimi 15 anni della classe politica sarda, sia con il centro-destra e sia con il centrosinistra, la stessa classe politica che nel periodo in oggetto ha dimostrato una totale incapacità di proporre per il centro Sardegna un progetto di sviluppo serio, capace in concreto di rilanciare il territorio. La domanda che vorremmo porre al segretario del Pds è questa: quale modello di sviluppo propone con la sua rivoluzione civile? La stessa domanda la rivolgiamo anche ai sindaci del territorio e allo stesso primo cittadino di Ottana.“Aspettando le bonifiche”, si ripropone la centrale elettrica di Clivati che vorrebbe produrre energia tramite la combustione del metano, aggravando l’inquinamento di un territorio già in sofferenza?

E allora ci vuole chiarezza: si richiedono le bonifiche o si sceglie di perseguire la stessa politica energetica del passato?
Non dimentichiamo le dichiarazioni di Maninchedda a sostegno dello “sforzo solitario del gruppo Clivati”, quando diceva: “dovete darci l’essenzialità per accompagnare un processo di conversione energetica sino al gas”.
Pertanto, anziché promuovere un sistema energetico che faccia della riduzione dei consumi, delle fonti rinnovabili e delle smart grid le sue bandiere, la classe politica accorsa al capezzale del Centro Sardegna non fa altro che riproporre un vecchio modello di produzione energetica fortemente centralizzato che punta, ancora una volta, ai proventi del regime di essenzialità pagati in bolletta dai cittadini. Un modello che ha alimentato nel recente passato una logica da bottegai dell’energia, come dimostra l’istruttoria dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas sulla condotta scorretta degli operatori della borsa elettrica sarda che ha innescato un consistente aumento del prezzo dell’energia nel 2012.

La funzione di questo modello è dunque volta a cristallizzare posizioni di rendita da una parte, mentre dall’altra intende incrementare le già consistenti esportazioni di energia verso il Continente, che negli ultimi anni si attestano tra il 30 e il 46% dell’energia prodotta. Non a caso è già stato varato il potenziamento del cavo SACOI, mentre si discute dell’ipotesi, prevista dalla Strategia Energetica Nazionale (S.E.N), di una nuova interconnessione con la Penisola (oltre al già esistente SAPEI).

Il risultato è quello di rendere l’Isola sempre più una piattaforma energetica conto terzi il cui tubo di scappamento è puntato sulla popolazione sarda. Allora sempre per chiarezza, anziché di sovranità energetica, saremmo costretti a parlare di colonialismo energetico.
Lo stesso programma di metanizzazione dell’Isola si rivela funzionale a questo obiettivo nella misura in cui prevede un’infrastrutturazione (tra rigassificatori, metanodotti, depositi costieri e nuove centrali a gas) del tutto fuori scala rispetto ai bisogni della Sardegna, soddisfabili in massima parte attraverso un utilizzo intelligente delle fonti rinnovabili, molto più convenienti del metano anche sul piano economico.

Niente di nuovo per il centro Sardegna, ancora la vecchia politica e in “attesa dei tempi migliori” si richiedono soluzioni vecchie e fallimentari.
Ora noi auspichiamo davvero una rivoluzione civile, che liberi il popolo sardo dal colonialismo di una classe politica locale asservita allo Stato italiano.

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