Migranti, Franciscu Sedda: “Costruiamo nell’Isola uno Stato giusto a misura dei più deboli”

Da Franciscu Sedda, Segretario Nazionale del Partito dei Sardi, riceviamo e pubblichiamo.

Caro Direttore,
Le scrivo conoscendo la sua competenza e sensibilità in tema di migranti e migrazioni, sperando che queste mie riflessioni possano trovare accoglienza nel suo giornale e stimolare un proficuo dibattito. Noto infatti che l’imperativo morale secondo cui ogni essere umano va trattato come un fine e non come un mezzo non gode di buona salute. Ha voglia il Papa a ricordarlo a suo modo – tratta il prossimo tuo come vorresti essere trattato tu stesso – con tanto di moniti di ravvedimento. I tempi dell’umanità sono bui. Dominati da paure fin troppo dicibili. E ho paura che non faremo buon servizio all’imperativo morale solo enunciando buoni propositi. O, per converso, pensando di risolvere il problema con la pura e semplice “redistribuzione” dei migranti a livello europeo.
Io credo che la migrazione, pronta a farsi esodo, che stiamo vivendo – ognuno con il fardello del proprio sconcerto – ci interroghi più profondamente. E ancor più profondamente ci sfidi.
Quale è la sfida che io vedo davanti? E che mi sembra l’unica vera soluzione strutturale e di lungo periodo alla questione?

Si tratta della costruzione di Stati giusti. E parlo degli Stati perché gli eventi di questi giorni stanno dimostrando quanto contino e quanto rilanciare banalmente la palla all’Europa non può bastare se prima, appunto, non si è affrontata la questione dello “Stato giusto”. Dicendo Stato giusto intendo uno stato costruito a misura dei più deboli, dei poveri, di tutti coloro che non per scelta ma per condizioni di nascita o per le disavventure della vita si trovano nella condizione di perdere di fatto la loro condizione di cittadinanza, divenendo delle non-persone, finendo nella disperazione. E dunque anche in una condizione di ricattabilità o di potenziale scivolamento nelle grinfie dell’illegalità.

Uno Stato giusto è uno Stato che attraverso l’oculato utilizzo dei soldi della collettività offra servizi pubblici di qualità: dalla casa alla scuola, dalla sanità alle molteplici infrastrutture che (quando funzionano) ci consento di vivere senza patimenti la nostra vita quotidiana, lasciando che i nostri pensieri e le nostre azioni si rivolgano a traguardi più ambiziosi e soddisfacenti. Uno Stato giusto è dunque l’antitesi di uno Stato che usa i soldi pubblici per speculare sulle emergenze, sulle disperazioni, trasformando la condizione di migranti, nomadi e quanti altri in un lucroso affare mafioso. Al contempo lo Stato giusto è uno stato sociale – ma non assistenziale – che mette tutti in condizione di sentirsi protetti, sicuri, partecipi della vita della collettività e delle opportunità di auto-realizzazione che questa offre.

Uno Stato giusto fa in modo che anche i più deboli possano vivere con dignità, possano scegliere se e quando lo vogliono – perché ricordiamo che la povertà o la sobrietà possono essere una scelta – di cambiare la loro condizione sociale attraverso il lavoro, l’impegno, il merito, la cooperazione con altri altrettanto volenterosi e motivati. Uno Stato giusto in altri termini fa in modo che gli ultimi, i poveri, i deboli – e oggi si parla di fette enormi della popolazione – non siano utilizzabili come carne da cannone nelle strumentalizzazioni di chi agita lo spettro di altri disperati per mantenere o conquistare il potere, per distrarre la collettività dai propri privilegi, per coprire le proprie mancanze nella capacità di costruire una società a misura di tutti.

Per questo uno Stato a misura dei più deboli fa paura a chi campa di rendita sulle paure della gente e a chi vive della rendita garantita da piccole o grandi disuguaglianze. Perché uno Stato giusto è una società ben organizzata in cui la furbizia, il favore, la clientela, la corruzione, il malaffare sono inutili prima ancora che illeciti e dunque non garantiscono nessuna rendita di posizione a chi gestisce piccole o grandi reti di sotto-potere, a chi trasformazione in un affare o in un viatico per il successo personale in politica. Perché uno Stato giusto fa paura a chi scarica sui migranti – ma non è forse lo stesso discorso che si fa per chi vive nelle periferie di Cagliari o di Sassari? o non è quello che si dice dei sardi che vivono nelle tante “zone periferiche” della nostra terra? – il problema della mancanza di sicurezza – esistenziale prima ancora che materiale – dei nostri tempi globali. La verità invece è che l’insicurezza delle nostre società non arriva da fuori. E’ frutto piuttosto di una illegalità endemica che non nasce da condizioni “etniche” ma dall’assenza di uno Stato giusto in cui identificarsi, da cui sentirsi spronati all’onestà, alla virtù civica.

Diciamocelo, non è la presenza dei migranti che distrugge ogni resistenza alle piccole e grandi furbizie del quotidiano a cui troppo spesso troppi di noi si arrendono. E’ la (sconsolata e sconsolante) percezione dell’inutilità dell’onestà. L’insicurezza è il risultato dell’assenza di un vissuto collettivo, nutrito da un ethos e da obbiettivi comuni, superiori alla mera sopravvivenza dei singoli.
Per questo, per tutto questo, bisogna costruire uno Stato giusto, virtuoso, ben organizzato, al servizio dei suoi cittadini, di quei cittadini che ne devono essere al contempo i protagonisti attivi, i primi realizzatori e “testimonial”. Se faremo questo non solo toglieremo fondamento e acqua di coltura alle paure del diverso, alla strumentalizzazione razzista e fascista dell’invasione. Ma daremo anche un po’ di senso a certe retoriche progressiste sinceramente vuote e incomprensibili per chi quotidianamente soffre sulla sua pelle l’ingiustizia e la disperazione. E, sbagliando, ne trasferisce la colpa su fattori provenienti dall’esterno che al limite non fanno che rafforzare ciò che era già in atto.

Costruire uno Stato giusto significherà allora essere capaci di intervenire alla radice. Non sulla base dell’emergenza che, in una condizione di esodo, non potrà fare altro che ripresentarsi di volta in volta, di stagione in stagione, sempre più grave. Non sulla base di una emergenza, uno stato d’eccezione, che di volta in volta fa giocoforza figli e figliastri, scatenando guerre fra poveri. Costruendo uno Stato giusto avremo finalmente una società aperta perché sicura di sé, pronta a valorizzare chiunque voglia partecipare ad essa in spirito di rispetto e reciprocità. Uno Stato giusto infatti è uno Stato che è naturalmente aperto all’inclusione, all’ingresso nella cittadinanza, ma che ha anche l’autorevolezza per chiedere il rispetto delle sue leggi, delle sue regole, dei suo valori condivisi, in modo che la cittadinanza sia effettiva, sia fatta di diritti e di doveri che riguardano tutti e tutte.

Ora, va da sé che questo discorso lasciato senza riferimenti, potenzialmente valido per tanti se non per tutti io lo vedo possibile e necessario per la Sardegna. Io credo che ai politicanti sardi fomentatori di odio a fini di mero consenso per future competizioni elettorali, a questi politicanti tromboni e molto spesso trombati, bisogna contrapporre la capacità della Sardegna di oggi, delle nostre istituzioni, della nostra politica, della stragrande maggioranza della nostra gente, di cogliere la sfida posta dagli ultimi fra gli ultimi per costruire una Repubblica di Sardegna di tutte e tutti. Uno Stato giusto per i sardi di ieri, di oggi, di domani, per i sardi di nascita e per quelli d’adozione. Perché o la Repubblica di Sardegna sarà giusta per gli ultimi o non sarà quel luogo di libertà, prosperità, giustizia e dignità che tutti in fondo sogniamo e che noi ogni giorno cerchiamo di costruire per il nostro popolo, con il nostro popolo.
Con i migliori saluti

Franciscu Sedda
Segretario Nazionale del Partito dei Sardi

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