Gesuino Muledda (Rossomori): “O il centrosinistra fa chiarezza, o si va verso la sconfitta”

Da Gesuino Muledda, presidente dei Rossomori, riceviamo e pubblichiamo.

E non b’at locu pro fughire. I dati Istat sull’occupazione per il secondo trimestre del 2013 ripropongono in maniera drammatica la condizione sociale ed economica della Sardegna. Su circa 1.600.000 abitanti sono occupati solo 552.000. Meno di uno su tre ha un lavoro. Insomma uno lavora e tre ci campano sopra. Sulla forza lavoro, cioè tra chi è in condizione per età di lavorare, 679.000, 552.000 lavorano e 127.000 sono disoccupati.

Il 47% dei giovani in età lavorativa non ha nessuna occupazione. In un anno sono stati persi 54.000 posti di lavoro. In questi numeri non sono compresi i cassintegrati ma è compreso 20% di precari. Questa è la fotografia della Sardegna. Questi sono i numeri che rappresentano la materiale condizione degli uomini e delle donne di Sardegna. Senza entrare nel merito della quantità del reddito, cioè del salario o stipendio netto dei lavoratori. E senza riferimento alla composizione della prodotto interno lordo e senza analisi sulla diseguale distribuzione della ricchezza prodotta. Di queste cose, pure, chi ha responsabilità e rappresentanza di interessi deve occuparsi. E dovremo occuparci.

Il primo dato rilevante sta nel fatto che tra gli occupati 138.000 producono beni materiali in agricoltura, industria e costruzioni. 415.000 lavorano nei servizi. E tra questi lavoratori dei servizi una gran parte lavora nella pubblica amministrazione. E dalla pubblica amministrazione ,cioè dai trasferimenti pubblici, dipendono alcune decine di migliaia di lavoratori dei settori produttivi. Insomma il popolo sardo non produce. Non produce ricchezza. Per se stesso dipende: dipende per la propria sussistenza; dipende per la propria mancata accumulazione di tecnologia, di saperi , di poteri, di finanza. E’ dipendente nella sua povertà. Perché un popolo che non ha produzioni dipende e perde la sua propria identità e la sua capacità di autogovernarsi nell’interno e, ancor più, verso l’esterno.

Questa è la conclusione definitiva che in questa situazione bisogna trarre: il modello di sviluppo che è stato proposto, governato, attuato è fallito. E con questo modello di sviluppo è fallito il ceto dirigente che ne è stato protagonista.

Non si può dire che la Sardegna non sia cresciuta. Si può pero dire che la crescita senza sviluppo ha portato a non avere la capacità di essere autopropulsiva. Capace di mettere in piedi le accumulazioni necessarie per esserlo. E’ stato un fallimento del ceto dirigente complessivo. In primo luogo dei partiti che hanno avuto la gestione della Regione Autonoma della Sardegna. Nessuno ,però, tra i gruppi dirigenti, tra chi ha avuto ruolo di rappresentanza vasta di interessi può dirsi esente da colpe. Né possono tirarsi fuori gli intellettuali, o i tecnici, o la pubblica amministrazione.

Un fallimento di questa portata non lascia nessuno immune da responsabilità. Nei territori delle aree rurali ,quelli che una volta chiamavamo zone interne, è in atto un tracollo antropologico nella sua catastrofe demografica e nelle sue drammatiche condizioni di lotta per la sopravvivenza.

E’ evidente che questo fallimento coinvolge la istituzione autonomistica,la quale ne viene coinvolta più che per condizioni oggettive, per la inesausta tempra con la quale i governanti di quest’Isola si sono applicati alla rinuncia all’esercizio dei poteri statutari e allo sgoverno della cosa pubblica. Con la conseguente perdita della credibilità che deriva dalla sostanziale rinuncia all’esercizio della sovranità possibile.
In altre occasioni abbiamo approfondito queste analisi. Oggi mi pare necessario invece riprendere una considerazione che ha affrontato il segretario nazionale di Rossomori nell’ultimo intervento nella pagina ufficiale del partito.

Per uscire dalla crisi serve un progetto di società che si impernia sul lavoro, sul lavoro e sulle capacità e sulle attitudini a produrre  e sulla organizzazione di una moderna società nella quale la giustizia e la libertà siano diritti esigibili. Innanzi tutto il diritto al lavoro. Per dirla con Sandro Pertini, un uomo che non ha lavoro non è libero. E se un uomo non è libero non ci può essere società giusta. Il fallimento del modello di sviluppo non è arrivato da astratti fatti che derivano da fuori. Il fallimento è ,innanzi tutto, un fallimento della aspirazione alla giustizia e alla libertà e dell’evidente incapacità, o impossibilità dei soggetti della sinistra a governare o a opporre un contrasto sufficiente ,per vincere giuste battaglie.

Anche in Sardegna ha vinto il neoliberismo e il berlusconismo. E ha vinto nella maniera peggiore possibile: scardinando le resistenze di forze che per cultura, origini, e storia avrebbero dovuto più radicalmente di altre contrastarli. E hanno vinto in condizioni di debolezza estrema dell’apparato produttivo, nella crisi dell’agricoltura, nell’arretramento della presenza dello Stato e della Regione, nel decadimento delle istituzioni autonomistiche.

Questa ultima legislatura è stata la peggiore della storia della autonomia: per qualità degli eletti, per subalternità programmatica ai centri di potere esterni, per l’affarismo e la disinvoltura nella gestione della cosa pubblica per cricche e affari privati. E se la maggioranza è stata tale da indure al disprezzo ,la opposizione non è stata all’altezza della situazione.

Una opposizione che non ha saputo impostare battaglie che, per contenuti, per metodo democratico potesse rovesciare la tendenza allo sfascio portata avanti dalla giunta Cappellacci, e dalla sua maggioranza, nessuno escluso. La opposizione non ha saputo proporsi come soggetto capace di rappresentare le istanze sociali e i bisogni reali della gente ed è, stata incapace di costruire consenso di forze sociali e di pubblica opinione. In tanti abbiamo denunciato le debolezze dei giochi di palazzo; troppi hanno visto nelle aperture a pezzi della maggioranza manovre di opportunismo; molti hanno visto scarsa convinzione nelle battaglie ,anche su questioni di principio come ,da ultimo ,sulla legge elettorale.

Né sul piano delle politiche di sviluppo, né sulle politiche in grado di affrontare le emergenze del lavoro e delle povertà crescenti si è mai visto impegno congruo rispetto alla realtà travolgente. Che anzi a proposte avanzate dai partiti di centrosinistra, si è spesso risposto con ostilità e rinunciando a giuste e condivise battaglie, per smania di protagonismo e per lotte intestine all’interno dei partiti e dei gruppi in Consiglio Regionale.

A tutto questo si aggiunge la nota questione dell’uso disinvolto dei fondi dei gruppi, che, pare, non lascia immuni da accuse componenti di tutti i gruppi consiliari di questa e della passata legislatura.

In una condizione di questa fatta sembrerebbe normale che i richiami fatti alla coerenza della coalizione per praticare politiche, programmi,progetti alternativi al centrodestra non fossero vissuti con fastidio o visti come un eccesso di zelo dei partiti che questo fanno, tra questi Rossomori. Invece non passa giorno che un uomo del Pd o un parlamentare di Sel non pongano mano a dichiarare sulla necessità di coinvolgere nella alleanza partiti e uomini che sono stati in giunta con Cappellacci, rendendo evidente quanto di connivenza si è praticato durante questa sciagurata legislatura. E provocando ,naturalmente, sconcerto tra tanti militanti delle forze della sinistra e del centrosinistra.

Meglio chiarirci da subito le cose. Se nel tavolo di centrosinistra si continua a disfare quanto già concordato; se non si fa chiarezza sulla questione della leale e solidale garanzia delle candidature in ordine a comportamenti impropri o alle indagini, i rinvii a giudizio e ai processi in corso per reati particolarmente odiosi per la pubblica opinione, credo che ci si stia avviando verso la sconfitta.

Se invece, ove dovessimo affrontare marosi non previsti, si dovesse decidere di assumere decisioni coerenti con principi, valori e programmi della sinistra e del centrosinistra, allora, con azioni trasparenti e responsabili, si possono rimettere in piedi le condizioni originarie della alternativa di governo.

Gesuino Muledda

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