La ‘siccagna’ dei boschi sardi, Bacchetta: “Era già successo, siccità e cambiamenti climatici renderanno il problema ancora più frequente”

di Andrea Tramonte

La ‘siccagna‘ non è una novità dell’estate 2024 e 16 anni fa abbiamo assistito a un fenomeno analogo con gli effetti devastanti visibili oggi nei boschi e nelle foreste dell’Isola, i loro cambiamenti cromatici che sono sintomo di un malessere profondo delle piante. “Si tratta di situazioni ricorrenti che hanno portato a una resilienza della vegetazione autoctona”, spiega il professor Gianluigi Bacchetta, docente di Botanica all’Università di Cagliari. “Nel 2008 la situazione era grave, alcune foto dell’epoca mostrano un Gutturu Mannu completamente arrossato. Ma la vegetazione si è ripresa”. Questo non significa sottovalutare o minimizzare, tutt’altro: è un modo di inquadrare il tema del dissecamento e contestualizzarlo correttamente. “Parliamo di fenomeni ricorrenti che avranno un tempo di ritorno sempre minore e una gravità sempre maggiore perché siamo soggetti al cambiamento climatico a livello globale che porta, per esempio, alla grave situazione di siccità che stiamo vivendo in questi mesi. Oltre ai colori dei boschi, dovremmo preoccuparci anche dei tanti animali che muoiono di sete a causa della mancanza di acqua”.

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La task force della Regione – il tavolo tecnico fitosanitario – in questi giorni sta monitorando la situazione per individuare gli strumenti più adatti per affrontare la questione. Due giorni fa ha diffuso un documento di analisi del problema dei boschi – sa siccagna, con lo scurirsi delle leccete e della macchia mediterranea – e di quello del deperimento della quercia da sughero. Sono argomenti su cui molto si è discusso e che si saldano a un altro grande tema dell’estate sarda: quello della grave emergenza idrica legata alla siccità. Che a sua volta ha origine nella questione più pressante a livello globale, ovvero i cambiamenti climatici e le loro drammatiche conseguenze su una miriade di cose. Il 2023 è stato l’anno più caldo da 174 anni a questa parte, da quando cioè si è iniziato a registrare le temperature sul pianeta. Il 2024 si avvia a essere un altro anno record: da luglio abbiamo avuto temperature più alte di due punti rispetto alla media dello scorso anno. Ed è anche per questo che Bacchetta sottolinea negativamente l’assenza di botanici e climatologi al tavolo. “È una cosa che stupisce – dice – perché il problema ha una base fortemente climatica, investe un patrimonio botanico e quindi quelle competenze servono per fornire informazioni più precise su quello che sta accadendo. E mancano anche i geologi che hanno cognizione della sofferenza dei suoli, dai quali le piante in sofferenza dipendono. Per problemi come questi si può lavorare esclusivamente in team e l’approccio multidisciplinare è fondamentale”. 

La questione del clima è decisiva. “I dati ci raccontano di una situazione climatica di siccità estrema, al grado D3 seguendo la classificazione internazionale – spiega il docente, che è anche direttore del Centro conservazione biodiversità e della Banca del Germoplasma -. Qui non parliamo di errate politiche forestali dell’ultimo periodo o problemi legati a una cattiva gestione dei boschi. Dagli inizi degli anni Ottanta ogni decennio ha fatto registrare valori termometrici superiori alla media, un costante calo delle precipitazioni e una loro distribuzione in brevissimi lassi di tempo”. Il docente mette in guardia anche dalle semplificazioni o da narrazioni fuorvianti. Come quella dei “patogeni killer”, dice, come la Phytophthora. “Funghi, virus e batteri sono presenti negli ecosistemi – boschi, macchie mediterranee – e hanno una funzione ecologica. Quando gli ecosistemi sono in equilibrio non creano alcun problema. Lo generano quando, per effetto di siccità estrema, la vegetazione si indebolisce, è fragile. Non ci sono patogeni killer. Se proprio dobbiamo identificarne uno, quello è l’uomo”. 

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