Genna Luas, un esposto per far luce sul monitoraggio della falda

Un piezometro (pozzetto da cui si attinge l’acqua di falda) a monte, posto a debita distanza dal sito inquinante, e due a valle. Quando si parla di discariche, il monitoraggio delle acque sotterranee funziona così. Lo stabilisce una legge del 2003. Ma questo non è il caso della discarica di Genna Luas (quella ancora in esercizio) gestita dalla Portovesme srl. Lo sostiene l’Assotziu Consumadoris Sardigna in un dettagliato esposto al momento depositato in Regione, non ancora in Procura. L’accusa si basa su un dato preciso: il pozzo Morra (interno alla discarica e utilizzato come piezometro a monte) e i piezometri PZ7 e PZ8, indicati come punti di controllo a valle, non ‘pescano’ dalla stessa falda, ma da “catini idrici confinanti e contenuti da ammassi rocciosi impermeabili”. La conferma arriva dallo studio idrogeologico dell’area della discarica di Genna Luas prodotto dal geologo Franco Cherchi nell’ambito della valutazione d’impatto ambientale del 2013 per la realizzazione dell’ottavo argine della discarica. Le stesse informazioni si trovano in uno studio analogo del dicembre 2005, firmato sempre dal geologo Cherchi.

“Stando così le cose – si legge nell’esposto – l’interpretazione comparata delle acque non ha nessun significato. Non solo: il piezometro a monte (Pozzo Morra) non rispetterebbe i requisiti di ubicazione previsti dalla normativa”. A complicare ulteriormente il quadro c’è il fatto che “la discarica di Genna Luas I intercetta una falda collegata ad altri bacini idrici”. Ragion per cui “l’acqua proveniente da quel pozzetto non rappresenta un valido riferimento per valutare eventuali fenomeni di inquinamento causati dalla discarica”.

Lo studio idrogeologico di Cherchi esplicita il problema: “Il sito in cui è stata realizzata la discarica di scarti industriali ha particolari caratteristiche intrinseche data la peculiare natura geologica, idrogeologica e geomineraria dei terreni locali. Pertanto l’applicazione della normativa non trova nel sito in questione il suo ‘campo di applicazione’, come di certo avviene in altre innumerevoli situazioni”, scriveva Cherchi nel 2013. Insomma, sul banco degli imputati, a Genna Luas, finisce il modo in cui è stato concepito il sistema di monitoraggio delle acque. Mentre non si può stabilire se la falda sia stata inquinata da eventuali fuoriuscite dal letto della discarica: non solo diventa tecnicamente impossibile tracciare un collegamento, bisogna anche tener presente che le acque – che presentano diversi livelli di superamento delle soglie stabilite dalla legge – potrebbero essere state contaminate dalle precedenti attività minerarie e, dunque, dalle mineralizzazioni del sottosuolo.

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Il prossimo passo sarà capire come la Regione abbia potuto tollerare una deroga alle norme. Chi ha dato le autorizzazioni per la realizzazione dell’attuale sistema di monitoraggio delle acque? Era possibile farlo? Sono queste le domande oggi sul tavolo. Di certo c’è che i tecnici della Ras sono a conoscenza del problema, come dimostra anche la sottolineatura del Servizio Valutazioni Ambientali nel corso dell’ultima conferenza dei servizi su Genna Luas II (la nuova discarica). “Il pozzo a monte capta l’acqua da un acquifero diverso da quello intercettato dai pozzi a valle”, hanno sotenuto i tecnici della Regione. Certo, come ricorda il tecnico, la discarica è stata costruita prima dell’entrata in vigore della legge 36/03 ovvero la norma di cui si sospetta la violazione. La domanda, allora, diventa la seguente: non sarebbe stato possibile adeguare il sistema di controllo delle acque alla nuova normativa?
Certo, non si può neanche escludere che, al momento della decisione, gli enti si siano detti soddisfatti dell’attuale sistema di monitoraggio. Ad esempio, lo studio di Cherchi sostiene che il Pozza Morra sia struttura efficiente ed affidabile attraverso il quale è possibile stabilire l’esistenza di una contaminazione (eventualmente) in atto.
È chiaro, però, che l’anomalia esiste: a metterla in evidenza era stata la stessa società. Questa è la ragione per cui l’Assotziu chiede la revoca delle attuali autorizzazioni e la realizzazione di nuovi studi idrogeologici nell’area.

Piero Loi

@piero_loi

 

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