Consumo del suolo, Sardegna virtuosa: coste salve, sono a rischio le zone rurali

Le coste sarde hanno una bassa percentuale di consumo del suolo, mentre crescono esponenzialmente le  superfici agricole: così l’Isola è tra le regioni italiane più virtuose nell’utilizzo del territorio. Ma il fatto che circa il 60 per cento dei terreni agricoli sia adibito a prati o pascoli e che coltivazioni di pregio come viti, olivi e frutteti siano molto marginali espone il territorio a molti rischi. I dati emergono dal report della Cna Sardegna sulla situazione e le caratteristiche dell’antropizzazione del territorio sardo, elaborato sulla base dei dati dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).

I soli 90.535 ettari ‘consumati’ (il 3,7 per cento del territorio regionale contro una media nazionale del 7,7) per la Cna sono il frutto del modello insediativo caratterizzato da un forte concentramento dell’antropizzazione a ridosso della fascia costiera. Ma anche rispetto al consumo delle coste la Sardegna non è messa male rispetto a regioni analoghe per estensione dei litorali e potenzialità turistiche: solo il 6 per cento del suolo consumato ricade nella fascia costiera entro i 300 metri dal mare. Nel confronto con la situazione di cinque anni fa, la ricerca evidenzia come la crescita del suolo antropizzato in Sardegna sia stata dell’1,08 per cento in un quinquennio, dato pienamente in linea con quello nazionale.

Altro dato positivo, per l’associazione che unisce le piccole e medie imprese artigiane, è la grande percentuale di suolo non consumato adibita a uso agricolo: 48 per cento contro una media nazionale che si attesta sul 43. Nel decennio 2000-2010 la superficie agricola utilizzata è cresciuta del 13 per cento mentre nel resto della Penisola è scesa del 2,4 per cento. Eppure, si legge nel report, in una regione con forte vocazione pastorale il 60 per cento della superficie agricola è adibita a prato o pascolo a fronte di una media nazionale che si attesta al 26,7 per cento. La marginalità delle coltivazioni di pregio (viti, olivi, frutteti) assicura un livello minimo di tutela della stabilità dei terreni rurali, che rimangono esposti a molti rischi: quello idrologico prima di tutto, ma anche di abbandono o cambio di destinazione d’uso.

Analizzando la Carta dell’uso del suolo redatta dalla Regione nel 2008 il report della Cna evidenzia che il 36 per cento del suolo impermeabilizzato, cioè quella parte del suolo coperta in maniera permanente con materiali artificiali per la costruzione, riguarda i cosiddetti ‘tessuti’ (edifici, strade, spazi pubblici) residenziali a bassa densità, il 23 i tessuti residenziali compatti, il 22 per cento i servizi (come gli impianti sportivi, porti, aeroporti, discariche, cave, aree per la logistica), i tessuti non residenziali rappresentano il 16 per cento. Le infrastrutture lineari per la mobilità (strade e ferrovie) rappresentano qui il 2 per cento del suolo impermeabilizzato, ma in questa quota non vengono considerate le strade comprese nei tessuti, residenziali e non residenziali che rappresentano la parte più rilevante del sistema infrastrutturale.

“Il dibattito sul consumo del suolo rappresenta uno dei temi centrali attorno al quale sviluppare un modello di sviluppo socio-economico sostenibile e duraturo per la nostra isola – spiegano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, presidente e segretario regionale della Cna Sardegna, commentando il report -. La tutela e la valorizzazione delle aree rurali è un elemento fondamentale nei progetti di sviluppo regionale, sia per rispondere alle esigenze di primarie connesse all’approvvigionamento alimentare e al superamento del deficit tra domanda e offerta locale, sia per la tutela del territorio e la promozione del paesaggio: la definizione della legge sul governo del territorio regionale deve costituire un’opportunità in tal senso”.

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