Tutte le soffferenze dei corpi nel “Rosa Nudo” il nuovo film di Giovanni Coda

Dopo le anteprime all’Istituto Francese di Barcellona e a Torino (era tra i film selezionati per il Torino Film Festival LGBT), il lungometraggio di Giovanni Coda “Il Rosa Nudo” sarà proiettato a Cagliari il 9 maggio, alle 21, al “Cineworld” , dove rimarrà in programmazione fino al 15 maggio.

Si tratta, come spesso accade per le opere del regista sardo, di un film affascinante e “disturbante”. Giovanni Coda si avvicina alla fiction, ma nello spirito del cinema sperimentale, non dimenticando le sue esperienze notevoli di video artista. Ancora una volta, l’attenzione alla costruzione dell’immagine è privilegiata, così colore, espressione dei visi e dei corpi, reinvenzione sorprendente delle location, sono un elemento essenziale del “Rosa Nudo”. Lo spunto narrativo è un episodio poco noto della Shoah, o meglio dell’ “Omocausto”, lo sterminio nei lager nazisti di uomini e donne schedati come omosessuali, con il triangolo rosa marcato sulla misera divisa indossata nel campo.

Pierre Seel, intellettuale francese, visse giovanissimo (aveva solo diciassette anni quando fu rinchiuso nel lager di Schirmeck) l’orrore dell’internamento, traumatizzato dalle violenze che dovette subire e dall’aver assistito alla morte terribile (venne sbranato dai cani) del suo compagno. Seel fino al 1982, non rivelò tale ricordo devastante; negli anni del dopoguerra aveva cercato di “riorganizzare” la propria esistenza, era riuscito a trovare un lavoro soddisfacente, si era sposato e aveva avuto due figli. Giunto alla maturità, a sessant’anni, però, riuscì finalmente a liberarsi dal passato scrivendo un’autobiografia che rivelò, in un momento storico dove l’eliminazione degli omosessuali nei lager non era ancora studiata con attenzione, l’orrore trascorso. Per questa sincerità tardiva, fu abbandonato dai familiari e solo nel 2002, tre anni prima della morte, Seel fu riconosciuto dalla stato francese vittima di guerra.

Le sue toccanti memorie non sono state ancora tradotte in italiano; Giovanni Coda, in maniera abbastanza casuale (“il libro faceva da zeppa a una scrivania di una libreria del centro di Parigi!”) è venuto a conoscenza della drammatica vicenda di Seel e da quel momento ha iniziato a riflettere sulle sue possibilità drammaturgiche. Nel 2007 coniugò l’interesse per la storia di Seel con le esigenze di un bello spettacolo di teatro danza firmato anche da Paola Leoni. Questa prima esperienza si approfondì con un lavoro di approfondimento sulle eventuali immagini con cui tradurre la tragedia del lager di Schirmeck, che sfociò in una mostra fotografica. L’ultimo passaggio è stato il lungometraggio, costato in sostanza quattro anni di impegno, mentre il girato, preceduto da varie prove filmate, è stato realizzato in una settimana.
Interpretando la vicenda secondo i suoi paradigmi estetici, il “Rosa nudo” ci mostra con forti accenni onirici e metaforici, le sofferenze dei corpi, la poesia dei piccoli particolari, i ricordi che si frantumano nel presente. L’oppressione dell’istituzionalizzazione è ricreata in una location apparentemente lontana; infatti, le riprese del lager sono state girate nella cartiera in disuso di Quartu S. Elena e nell’ex poligono di Siliqua e appaiono assai più veritiere di qualsiasi ricostruzione “realistica” vista sul piccolo e grande schermo, come se il dolore delle strutture in decadenza diventasse espressivo di un’altra sofferenza evocata. Come per la maggior parte dei film realizzati in Sardegna, ma non solo, le difficoltà economiche hanno segnato le produzione, che Giovanni Coda è riuscito con coraggio a superare avvalendosi esclusivamente di fondi personali e privati. Infatti, le istituzioni non hanno neppure risposto alla presentazione del progetto. Il regista del “Rosa Nudo” ha trovato pure una distribuzione nazionale e, dopo le giornate cagliaritane al “Cineworld”, inizierà per il film un viaggio artistico diverso.

Elisabetta Randaccio

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