“Re-Legalized”, road movie dell’intelletto. Con Manconi e Uras proiezione al Senato

“Ho girato il film per poterlo discutere, anche con chi non è d’accordo con me.” Così, alla prima proiezione pubblica del suo documentario “Re-Legalized. Un viaggio nella cannabis rilegalizzata“, il regista Francesco Bussalai indirizza subito lo spettatore verso una posizione di non passività nei confronti dell’argomento trattato e, di conseguenza, richiede l’urgente necessità di dibattere.
Alla presentazione del documentario, il 20 aprile scorso al Teatro Massimo (M2), è iniziato il percorso di un film prezioso anche per il suo aspetto divulgativo. Costruito sapientemente, abolendo – come, ormai, optano la maggior parte dei documentaristi – la voce fuori campo, innervandosi su alcune interviste essenziali, che non lasciano lo spettatore indifferente, usando brechtianamente “cartelli” e didascalie informative, potrebbe essere definito un road movie dell’intelletto.

“Re-Legalized” è stato girato dall’autore negli Stati Uniti, come lo stesso racconta: “La genesi del lungometraggio ha coinciso con un mio viaggio negli USA durato più di un anno, durante il quale ho potuto osservare, in alcuni stati americani, un cambiamento epocale dal punto di vista economico, sociale, medico. In quei luoghi la marijuana era stata legalizzata sia per uso farmacologico sia ricreativo. Ciò ha prodotto una crescita nella piccola agricoltura e nelle aziende unite in rete per controllare la qualità delle loro coltivazioni ed arginare così gli interessi dei grandi gruppi farmaceutici e del tabacco. Si stima si siano creati quasi 20000 posti di lavoro, mentre molto importante è diventato l’uso medico della cannabis, raggiungendo malati i quali, fino a quel momento, erano costretti a spese eccessive per ottenerne almeno l’uso curativo.”

Per chiarire meglio questo ultimo argomento, nel film, troviamo una serie di sequenze con un’intervista allo scienziato Gianluigi Gessa, il quale con un linguaggio chiaro e una buona dose di ironia, che smussa alcuni elementi anche drammatici del tema, spiega le possibilità (ancora in via sperimentale, però) dell’uso clinico della cannabis capace di avere degli effetti positivi nella terapia del dolore, per esempio. Gessa era presente anche alla prima ed è intervenuto, a conclusione della proiezione, con lo spirito critico di chi ha necessità di abbattere luoghi comuni, ma pure di una informazione mai superficiale. Per Gessa l’uso clinico della cannabis “è una cosa serissima. Va regolamentato e non affidato a persone improbabili. La legalizzaziome, efficace nella sua parte destinata alla ‘ricreazione’, per quanto riguarda l’uso terapeutico ha bisogno di ampliare gli studi e le ricerche, che si erano interrotte nel momento in cui la marijuana era stata inserita nella Tabella 1.”

Lo scienziato ha posto dei dubbi sui casi esemplificati nel film, come quello di Forrest, otto anni, epilettico, il quale, dopo un calvario farmacologico accentuato da pesanti effetti collaterali come l’aggressività e persino le tendenze suicide, ora utilizza piccole dosi di cannabis con risultati sorprendenti: otto gocce al giorno gli permettono di controllare le convulsioni. Ma il regista mostra questo e gli altri casi senza indicarli come esempi assoluti. Per quanto riguarda Forrest, si tratta di una storia a lieto fine di un bambino, che ha recuperato una infanzia normale; per gli spettatori prende la forma di un punto di partenza per non aver paura di andare oltre anche gli stereotipi terapeutici e soprattutto di avvicinarsi al problema senza timori e con desiderio di chiarezza.

Bussalai mostra i fatti e, pur non nascondendo la sua personale posizione, chiede di smuovere un’opinione pubblica imbrigliata nei luoghi comuni da 80 anni di proibizionismo. In questo senso, il filo conduttore é proprio la soggettiva di una autostrada che attraversa uno dei deserti degli Stati Uniti, un’allusione allo svolgimento dei problemi trattati in tre capitoletti (“Una questione di diritti”; “Effetti collaterali”, “Piccola erba grandi interessi” divise dalle ‘tendine’ grafiche di Jeremy Stewart). I “grandi interessi” per la piccola erba non riguardano esclusivamente il futuro dove, come ha anche affermato il professor Gessa, esiste il rischio per cui di questo goloso business se ne approprino le grandi multinazionali con conseguenze nella produzione (magari non trattata biologicamente, ma con pesticidi) e nella distribuzione, ma pure coinvolge l’attuale speculazione sui “consumatori”, negli stati dove la cannabis è proibita e, elemento spesso trascurato da noi europei, le carceri sono privatizzate. Come viene affermato nel film, infatti, le prigioni americane traboccano di carcerati, quasi sette milioni di persone, il 46 per cento delle quali sono state arrestate per consumo di marijuana. E questa super popolazione detentiva arricchisce costruttori e direttori di carcere, oltre il fatto che a essere condannati sono, con stima di probabilità del seicento per cento, per la maggior parte afroamericani.

Bussalai, poi, ha messo in evidenza, la drammatica situazione in Sardegna dei malati di sclerosi multipla, che avrebbero bisogno di farmaci con contenuti di cannabis per affrontare i terribili dolori provocati dalla loro patologia. Ma, in questo momento, la regione Sardegna può acquistare esclusivamente medicinali costosissimi (anche 650 euro la scatola), i quali portano a una spesa complessiva stratosferica, essendovi nella popolazione isolana quasi 6000 persone malate di tale gravissima patologia. Eppure, come ha sottolineato Bussalai, la coltivazione libera abbatterebbe in maniera incredibile i costi. E se il professor Gessa non viene convinto dagli operatori americani, che il regista apparenta ai nostri erboristi, e dalle loro metodologie di preparazione del prodotto, basterebbe solo una riflessione nei confronti dei malati disperati per richiedere una legge seria, regolamentata e civile.
Il film che, come ha anche affermato Francesco Bussalai dovrebbe trovare spazio pure nelle scuole (cosa non semplice, sicuramente, ma veramente auspicabile per un’informazione corretta, soprattutto tra i giovani), il 29 aprile sarà proiettato al Senato, grazie all’interessamento e alla partecipazione di Luigi Manconi e Luciano Uras. Si tratta di una sala all’interno di una delle nostre principali istituzioni e si spera venga frequentata da chi sta elaborando leggi nuove e maggiormente sensate. Successivamente, “Re-legalized” continuerà la sua vita in Sardegna, in Italia, all’estero e, ci si augura, anche dove è stato prevalentemente girato: Oregon, Stati Uniti.

Elisabetta Randaccio

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